La fine di tutte le cose di Immanuel Kant edito da Bollati Boringhieri
Alta reperibilità

La fine di tutte le cose

Collana:
Incipit
Edizione:
5
A cura di:
A. Tagliapietra
Traduttore:
Tetamo E.
Data di Pubblicazione:
2 novembre 2006
EAN:

9788833917115

ISBN:

8833917118

Pagine:
128
Formato:
brossura
Argomento:
Filosofia: metafisica e ontologia
Acquistabile con la

Descrizione La fine di tutte le cose

Come ha scritto Jacob Taubes, nelle pagine de "La fine di tutte le cose" l'opera forse più ingiustamente trascurata dell'ultima fase della vita del grande maestro di Konigsberg - Kant conduce l'ambizioso progetto filosofico di "tradurre le dichiarazioni metafisiche dell'escatologia cristiana in una sorta di escatologia trascendentale". L'escatologia trascendentale ruota attorno a un duplice interrogativo: perché, in generale, gli uomini si aspettano una fine del mondo? E se questa viene anche loro concessa, perché proprio una fine che, per la maggior parte del genere umano, fa paura? Per Kant l'antica profezia apocalittica di San Giovanni prefigura, in simboli e immagini, il limite estremo della stessa attività del pensare, delineando la struttura paradossale di un "concetto con cui, al tempo stesso, l'intelletto ci abbandona e, addirittura, ha fine ogni pensiero".

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4 di 5 su 1 recensione

La fine di tutte le coseDi M. Luigi-9 agosto 2011

Alla base di questo pamphlet kantiano troviamo le domande basilari della metafisica: come si fa ad immaginare la fine? Ed il nulla? Forse ci si potrà arrivare, ma sarà necessario uno sforzo cerebrale pari all'invenzione dello zero (anche se tra lo zero e il nulla c'è un abisso). Forse si potrà capire. Ma comprendere? Comprendere significa non tanto sapere che ci sarà una fine (tutti lo sanno) ma vivere sapendolo. Come ha scritto Jacob Taubes "nelle pagine de "La fine di tutte le cose" - l'opera forse più ingiustamente trascurata dell'ultima fase della vita del grande maestro di Konigsberg - Kant conduce l'ambizioso progetto filosofico di tradurre le dichiarazioni metafisiche dell'escatologia cristiana in una sorta di escatologia trascendentale". L'escatologia trascendentale ruota attorno a un duplice interrogativo: perché, in generale, gli uomini si aspettano una fine del mondo? E se questa viene anche loro concessa, perché proprio una fine che, per la maggior parte del genere umano, fa paura? Per Kant l'antica profezia apocalittica di San Giovanni prefigura, in simboli e immagini, il limite estremo della stessa attività del pensare, delineando la struttura paradossale di un "concetto con cui l'intelletto ci abbandona". Mi piace pensare che tutta la riflessione, come suggerisce il bel saggio di Andrea Tagliapietra, nasca dalla meditazione sull'incisione "La fine", l'ultima opera di William Hogarth. Nell'incisione il tempo è rappresentato come un gigante barbuto, dal corpo michelangiolescamente muscoloso, con un ciuffo in fronte, l'attimo che si deve afferrare prima che scappi via per sempre. Ma rispetto alla solita iconografia, qui siamo alla "fine", e il Tempo appare spossato da un'immensa stanchezza, giace riverso con le ali e la schiena poggiate sul rudere di una colonna mozza. Ha la solita falce, ma è spezzata, e tutto intorno sono i simboli della caducità portati all'estremo: la lapide di una tomba, una clessidra svuotata, un arco spezzato, un calcio di fucile senza canna, una candela che si spegne, una campana crepata, un foglio con la scritta "The Times" che brucia. Una tavolozza spezzata ricorda che anche l'arte, alla fine, si estingue. E dalla mano gli scivola una pergamena, il testamento con cui il Tempo riconsegna tutto al Chaos. Il paesaggio è desolato: a sinistra le rovine di una torre con una meridiana senza chiodo, a destra un albero spettrale con a fianco una casa di legno che cade a pezzi. Ma sembra più una locanda dove nell'insegna "The World's End" compare un globo terrestre divorato dalle fiamme. Si sovrappone con una immagine di uguale insegna in lontananza dove penzola un impiccato. Al centro, nel cielo, appare il carro del Sole, con i cavalli e l'auriga già morti. E dalla bocca del tempo si innalza un fumetto con le ultime parole del Tempo: "finis". E dentro la lettura del testo ho inserito anche una visione che, letta in questi mesi di lutti, mi ha colpito. Sulla differenza tra una visione monista della vita e della morte, di tipo induista, dove, bene o male, alla fine si arriva alla pace (anche attraverso infiniti cicli di vite negative) , ma che per questo induce in una indolenza che spegne la vitalità. Ed una visione dualista, come nelle religioni rivelate, dove essendoci un premio ed una punizione ci si interroga su cosa fare per avere il primo ed evitare il secondo. E proprio questo interrogativo porta quindi a fare. Ad essere. Ad esistere, anche qui, ed ora.