La valigia di mio padre di Orhan Pamuk edito da Einaudi

La valigia di mio padre

Editore:

Einaudi

Collana:
Vele
Traduttore:
Gezgin S.
Data di Pubblicazione:
2 maggio 2007
EAN:

9788806188863

ISBN:

8806188860

Pagine:
71
Formato:
brossura
Argomento:
Teoria della letteratura
Disponibile anche in E-Book
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Descrizione La valigia di mio padre

Qual è il senso della letteratura? Come nasce un romanzo? In tre appassionate conferenze tenute nell'arco di un anno, fino al discorso di accettazione del Premio Nobel 2006, Orhan Pamuk disegna un ritratto dello scrittore nel mondo contemporaneo. La letteratura inizia dal gesto di chi si chiude in una stanza, si ripiega in se stesso e tra le proprie ombre costruisce un mondo nuovo con le parole. Proprio quell'isolamento nasconde in realtà un'apertura, la certezza che tutti gli uomini si somiglino e che il mondo sia privo di un centro. Essere scrittori, infatti, significa prendere coscienza delle proprie ferite interiori, e raccontarle ai lettori che le riconoscono per averle provate in prima persona, magari senza esserne consapevoli. E poiché ricordano ai lettori la loro fragilità, la loro vergogna e il loro orgoglio, gli scrittori suscitano ancora oggi nel mondo "molta rabbia" e "inaspettati gesti di intolleranza". Ma i romanzi sono uno strumento indispensabile che le comunità hanno per riflettere sulla propria identità. "L'arte del romanzo mi ha insegnato che condividendo le nostre segrete vergogne diamo avvio alla nostra liberazione".

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3 di 5 su 1 recensione

Scrivere è un pozzo scavato con l'agoDi T. Alessandro-8 settembre 2010

Ha il tono pacato della confessione sentita “La valigia di mio padre” di Orhan Pamuk: insieme di discorsi sull’arte di scrivere che pur paiono sibili placidi, fiati maltratti con cui lasciare per dono parole troppo strette tenute. Molto s’apprende del turco di Istanbul che poggia ai nostri scaffali, meravigliosa -ad esempio- la nostalgia impolverata delle librerie antiquarie: «Negli anni Settanta, con i soldi che mi dava mio padre, compravo nelle vecchie librerie di Istanbul, con grande avidità, come se volessi riempire i vuoti della mia vita, libri usati dalle pagine ingiallite e polverose. Quelle librerie fatiscenti e incredibilmente disordinate che si trovavano sui lati delle strade, nei cortili delle moschee, sotto i muri diroccati, mi influenzavano quanto i libri che leggevo». Ancora di più par di ricevere sul bisogno necessario e ammalato che definiamo scrittura, che è invero lavoro “di un uomo che si chiude in una stanza e che, seduto ad un tavolo, ritirato in un angolo, si esprime per mezzo di carta e di penna”. Par di vederlo lo scrittore scovato da Pamuk allo specchio: il capo piegato, il petto adagiato alla pagina, la mano intenta alla copia di pensieri sorti a fatica ( come “scavare un pozzo con un ago”). L’investe una luce, livida e fioca; lo serrano pareti di fiabe che han titoli e dorsi e copertine cangianti al riposo in penombra. «Per diventare scrittore si deve innanzitutto sentire l’impulso irresistibile a fuggire la gente, la compagnia, la consuetudine, la quotidianità e a chiudersi in una stanza» scrive l’autore. Eppure si badi: lo straziato, silente al lavoro, è tutt’altro che solo. È pirandelliano lo spazio murato a volumi: ad un tempo arsenale delle apparizioni e stanza della tortura, esso riceve indiscrete presenze. Son gli altri, che recano in dote lacerti di storie con diritto di voce. Capita così che nell’eremo annerito s’aggrumino “le strade, i ponti, gli uomini, i cani, le case, le moschee, gli strani eroi, i negozi, i personaggi famosi, gli angoli bui, le notti e i giorni” e che questo mondo, involontario e reale, s’inviti alla vita inducendo chi assiste seduto “alla voglia immediata di entrarvi”. Laico miracolo quello descritto, laico miracolo dedito al meglio, grazie al quale scrittori e lettori, usando la fantasia, avvertono quanto tutti gli uomini hanno in comune. Perché letteratura, se grande, “non parla delle nostre capacità di giudizio, ma della nostra abilità di metterci nei panni di un altro”, sì da scoprirli ben adatti alla nostra figura, arricchita a diverso.