Henry e June di Anaïs Nin edito da Bompiani
Alta reperibilità

Henry e June

Editore:

Bompiani

Traduttore:
Vezzoli D.
Data di Pubblicazione:
21 novembre 2000
EAN:

9788845246579

ISBN:

8845246574

Pagine:
272
Disponibile anche in E-Book
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2 di 5 su 1 recensione

Henry JuneDi R. Grazia-15 agosto 2011

Bisogna subito dire che la mancanza di unatrama unitaria si fa parecchio sentire, d'altra parte, questo è un diario, e i diar di solito mirano alla registrazione di fatti e allo sfogo sincero di sentimenti più che ai compiacimenti letterar, benché sulla sincertià della Nin sia più doveroso che lecito dubitare. O piuttosto, non tanto d'un diario si tratta, quanto di estratti dal diario tenuto dalla scrittrice, raccolti dal suo ex-marito (poi convivente more maritali) ed esecutore testamentario Rupert Pole, e pubblicati senza censure; in precedenza erano stati stampati altri volumi dei Diar, non limitati ad estratti tematici come questi, ma sforbiciati, non tanto per pudibonderia della scrittrice, di cui erano già usciti libri ben meno verecondi, quanto per non creare imbarazzi ed ire in persone ancora vive e vegete. Queste vicende sono rilevanti non come mio sfogo di uzzoli filologici, ma perché consentono di capire i caratteri e i limiti che qui presenta la scrittura di Anas Nin. La sua storia si dipana come potrebbe accadere appunto se si prendessero in mano un diario cartaceo o un blog di molti di noi, dov'è impossibile che ogni giorno si scrivano pagine significative o interessanti, e spesso le zone morte, i pensieri oziosi, le ripetizioni e le chiacole senza sugo, come direbbe Goldoni, sovrabbondano sulle pagine degne di memoria. Mentre però la lettura d'un diario integrale, seppur a tratti priva d'interesse o provvista d'interesse puramente documentario, comporta pur sempre una certa varietà d'argomenti, il cavarne un florilegio tematico accresce la sensazione di statiticità e ripetitività, cui poi s'aggiunge, trattandosi di prose verosimilmente non limate in vista d'una pubblicazione, anche quella di sciatteria: e così, con rarissime scosse di curiosità (per esempio, nel rapporto della Nin con lo psicanalista) , si avanza in mezzo ad un paesaggio brullo e piatto sotto un cielo bigio, con la sempiterna speranza delusa di trovare qualcosa di bello o almeno di carino. L'aspetto più strano del libro è che secondo me manca proprio di quella che ne dovrebbe costituire l'innervatura e la linfa, ossia l'erotismo. Se penso a certi scrittori francesi di quei tempi, ai ragazzacci di Cocteau, ai ladri e alle marchette di Genet, alla Marsiglia di Crevel dove jaillissent les fleurs de chair, trovo tante creature vivissime, e una prosa che vibra di carnalità in ogni riga, mentre gli uomini della Nin sono pezzi di legno privi di volto, di corpo, di voce, di richiamo erotico. Però intanto sono tutti là in folla che, tra una scopata e l'altra, sbirciano e curiosano tra le sue confessioni "segrete" e le riempiono di lodi ("prosa marmorizzata e venata di rame verde", mentre la Nin si autoelogia per lo "stile laccato", neanche se fosse stata roba di D'Annunzio o l'Hypnerotomachia Poliphili): erano scemi o masochisti? Nessuna delle due. Semplicemente, era Anas Nin che adorava raccontare frottole. Peccato che le raccontasse con tanta malagrazia.