Il lessico fluviale nella “Memoria di Colorno” (1612-1674) di Don Costantino Canivetti di Alessandra Terenziani

Il lessico fluviale nella “Memoria di Colorno” (1612-1674) di Don Costantino Canivetti

Tipologia:

Tesi di Laurea di primo livello

Anno accademico:

2012/2013

Relatore:
Paolo Bongrani
Correlatore:
Giulia Raboni
Facoltà:

Lettere

Corso:

Lettere moderne

Cattedra:

storia della lingua italiana

Lingua:
Italiano
Pagine:
46
Formato:
Pdf
Protezione:
DRM Adobe
Dimensione:
1.34 Mb

Descrizione Il lessico fluviale nella “Memoria di Colorno” (1612-1674) di Don Costantino Canivetti

In questa tesi è stato raccolto tutto il lessico fluviale presente nella Memoria di Colorno (1612-1674) di don Costantino Canivetti. Una tale rilevanza di questo ambito all’interno dell’opera, che non è stata scritta da un navigatore o un pescatore, bensì da un ecclesiastico, non deve stupire, se si analizza il contesto in cui il Canivetti vive e scrive: nella memoria si riflette infatti l’importanza che i fiumi, i torrenti e i navigli avevano nella vita di tutti, indistintamente, gli abitanti di Colorno, un paese della cosiddetta “bassa parmense” che per la sua configurazione idrogeografica è una vera e propria “terra d’acque”. Si pensi che il nome stesso di Colorno probabilmente deriva da Co’ di Lorno (caput Lurni), cioè dal nome di un canale, il Lorno appunto, che proprio nel centro del paese confluisce nel Parma (“la Parma”, come si dice nel dialetto e nell’italiano locale, è il torrente principale che attraversa il paese). Per Colorno passa, inoltre, il naviglio, l’importante canale navigabile che congiunge parma a sacca sul Po (insieme a Piacenza, il principale porto fluviale del ducato farnesiano, che garantiva contatti con Casalmaggiore e con tutti i più importanti centri rivieraschi, fino a Venezia). Si aggiungano a questi una miriade di altri torrenti e canali, naturali ed artificiali, che attraversano il paese e la campagna circostante: il canale della strada di parma, il canale del Po Mestro, il canale del molino della corona, il Galasso, la Parmetta (per ricordare solo quelli citati dal Canivetti nella memoria). Inoltre a pochi chilometri scorre il grande fiume Po con il suo alveo principale e i vari rami minori (tra cui il Po Mestro e il Po Vecchio). Il Po rivestiva per Colorno, come per tutti i paesi rivieraschi, un’importanza fondamentale per molteplici aspetti. Il principale era quello di stabilire i confini del ducato farnesiano: il confine del ducato, e della ‘terra’ di Colorno, rispettivamente con lo stato di Milano (Casalmaggiore) e col ducato dei Gonzaga (Viadana) era infatti rappresentato dal fiume Po. Mentre a separare Colorno dal ducato estense (Brescello) provvedeva, a poche miglia a sud – est, il torrente Enza. Ad una distanza ancora minore, ma a nord – ovest del paese, scorreva infine il torrente taro, che divideva la ‘terra’ di Colorno da quelle (sempre Farnesiane) di Fontanellato, san secondo, Roccabianca ecc. Questi fiumi e torrenti molto spesso si imponevano con forza drammatica, con le loro inondazioni, all’attenzione di tutti gli abitanti di Colorno e dunque anche a quella del Canivetti, parroco e poi canonico di santa margherita. Naturalmente, la ricchezza dei corsi d’acqua comportava anche vari elementi positivi. Uno di questi era l’aiuto al sostentamento alimentare della popolazione, attraverso la pesca, che veniva praticata non solo nella bella stagione, ma durante tutto l’anno, anche in inverno e anche quando i fiumi erano in tutto o in parte ghiacciati. Abbiamo infatti nella memoria la testimonianza di un tipo molto particolare di pesca invernale: la “giacia” o “giace” effettuata su tratti ghiacciati del Po. Il fine di tale pratica era in realtà duplice: procurarsi il pesce anche durante la stagione invernale, e insieme riaffermare i propri confini ed evitare che gli abitanti dell’altra sponda del fiume (quelli di Casalmaggiore) li infrangessero, come nel caso in questione. Più che di una semplice pesca si trattava di un’operazione pubblica, ufficiale, svolta in presenza non solo dei pescatori ma anche di testimoni, notai e gendarmi. Dai fiumi, canali, navigli partiva inoltre un ramificato sistema d’irrigazione in grado di garantire acqua a tutta la campagna circostante, favorendo così lo sviluppo dell’agricoltura. Il Greto dei fiumi e dei torrenti (le cosiddette “gere”) costituiva a sua volta un’importante riserva di materiale per l’edilizia. Un ulteriore vantaggio era costituito dallo sfruttamento dei corsi d’acqua in funzione difensiva, sia contro gli attacchi degli eserciti nemici che contro la diffusione della peste o di altre epidemie contagiose. La rocca di Colorno era circondata da un fossato con il ponte levatoio; e abbiamo notizie di un progetto del duca Odoardo Farnese, poi abbandonato, di incrementare le difese attraverso alcune modifiche al borgo. Infine, lungi dal rappresentare solo barriere e confini, i corsi d’acqua costituivano fondamentali vie di comunicazione. La comunanza di interessi e i frequenti contatti tra le popolazioni rivierasche dell’una e dell’altra sponda avrebbero portato queste ad una relativa “autonomia” linguistica e culturale rispetto al proprio entroterra: il lessico del Po è sostanzialmente omogeneo e «tipico». Non solo per la presenza caratterizzante di specialissimi settori, ma soprattutto perché in esso sono depositati la memoria e il senso di quel vitale rapporto col fiume che ha sempre accomunato le genti del Po.

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