Aspetti linguistici della comicità. A proposito di "Parli come badi" di Totò di Daniele Andolina

Aspetti linguistici della comicità. A proposito di "Parli come badi" di Totò

Tipologia:

Tesi di Laurea di primo livello

Anno accademico:

2006/2007

Relatore:
Salvatore Trovato
Corso:

Scienze della Comunicazione

Cattedra:

Linguistica applicata

Lingua:
Italiano
Pagine:
46
Formato:
Pdf
Protezione:
DRM Adobe
Dimensione:
817.76 Kb

Descrizione Aspetti linguistici della comicità. A proposito di "Parli come badi" di Totò

Nel saggio Il riso, il filosofo francese Henri Bergson (1982, p. 3) esordisce chiedendosi cosa possa accomunare espressioni comiche varie come una smorfia di pagliaccio, un gioco di parole, un "qui pro quo”, la scena di una commedia. Anche i più grandi filosofi e pensatori del passato, da Aristotele in poi, si sono cimentati con questo particolare problema, non riuscendo, tuttavia, neppure a enunciare una definizione univoca e organica del termine "comicità”, se non in maniera assolutamente generale. Si è, dunque, tentato, a tal proposito, di fornire definizioni come "contrasto intellettuale” o "assurdità sensibile”, definizioni che, comunque, non spiegano affatto perché un qualsivoglia effetto che voglia essere indicato quale "comico” faccia ridere (ibidem, p. 7). Chi, comunque, ha tentato di individuare ugualmente una sorta di "minimo comune denominatore” per tutte le varie tipologie di comicità esistenti è stato Sigmund Freud, da più parti indicato come il "padre” della psicoanalisi, il quale dedica una delle sue più affascinanti opere proprio alla trattazione del comico. Questi, nello specifico, identifica il "denominatore” di cui sopra in un particolare elemento, vale a dire quel senso di "stupore” (Freud 2004, p. 21) che accompagna il fruitore di una qualsivoglia situazione comica. È, infatti, innegabile che il comico sia sempre consequenziale, come si è accennato, a quella fase di stupore, di sconcerto, di perplessità che lo spettatore in questione attraversa allorché la situazione reale cui sta assistendo, qualunque essa sia, si presenti come bizzarra, insolita, curiosa. A onor del vero, va comunque specificato che non tutte le situazioni reali possono provocare un effetto comico ma solo alcune di esse, come si vedrà meglio nel corso della nostra analisi. Bisogna ora chiarire che il comico, in realtà, è da indicarsi quale diretta conseguenza non semplicemente, come si è detto, dello "stupore” che lo spettatore di una certa situazione comica prova inizialmente, bensì di quella che lo stesso Freud definisce "illuminazione”. Quest'ultima si qualifica come la fase di "interpretazione”, per così dire, della situazione comica cui si assiste e segue immediatamente la fase di "stupore”. Va ancora sottolineata la straordinaria importanza di questa fase, senza la quale, sostanzialmente, l'effetto comico in questione non potrebbe esprimersi in maniera totale. Allo scopo di esplicare meglio quanto da noi riportato sinora, si prenda in considerazione la seguente battuta del notissimo attore napoletano Antonio de Curtis, in Arte Totò (2003, p. 44): "Lei ha commesso un furto vestito da donna...ma si vergogni! E quando ruba, si ricordi che per rubare ci si veste da uomo". Questa frase costituisce un perfetto esempio di come il comico scaturisca fondamentalmente dal già menzionato "senso di stupore” che, a ben vedere, non può non assalirci se osserviamo o ascoltiamo una frase del genere. Infatti, subito dopo aver criticato un'azione attraverso la seguente frase, ovvero: "Lei ha commesso un furto vestito da donna...ma si vergogni!”, ci si aspetterebbe, ragionevolmente, un'ulteriore frase di biasimo nei confronti dell'autore di tale azione. Accade, invece, che chi ha commesso il furto in questione venga sì ripreso ma per un motivo ben diverso da quello che ci aspetteremmo. Infatti, Totò afferma subito dopo: "E quando ruba, si ricordi che per rubare ci si veste da uomo” ed è proprio da qui che nasce lo "stupore” e, di conseguenza, il riso. Seguendo poi Emanuele Banfi (1995, p. 21), "Nella valutazione del comico entra in gioco la soggettività, l'apprezzamento individuale”, dal momento che ciò che può suscitare il riso in alcuni individui può, al contempo, non provocare alcun effetto comico in altri. Oltre a quanto appena riferito, Banfi (ibidem, p. 20) aggiunge come sia impossibile tentare di fissare il comico entro determinati limiti ed enumerarne le caratteristiche. Esso, infatti, a causa soprattutto della straordinaria "poliedricità di situazioni, diverse nel tempo e nello spazio”, da cui scaturisce, non ha un territorio proprio e, in conseguenza di ciò, come si è anche detto in precedenza, risulta essere impresa estremamente ardua fornire una definizione unica del concetto di "comicità”.

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