Il primo podestà fascista di Parma di Barbara Bini

Il primo podestà fascista di Parma

Tipologia:

Tesi vecchio ordinamento

Anno accademico:

2004/2005

Relatore:
Mariuccia Salvati
Correlatore:
Francesca Sofia
Corso:

Storia

Cattedra:

Storia contemporanea

Lingua:
Italiano
Pagine:
164
Formato:
Pdf
Protezione:
DRM Adobe
Dimensione:
2.69 Mb

Descrizione Il primo podestà fascista di Parma

Il dott. Mario Mantovani è stato alla guida della città di Parma per tredici anni, dal 1927 al 1939: anni in cui si passò al regime podestarile, ovvero a un sistema amministrativo di tipo "concentrico”, dove il centro (Roma) intendeva tenere saldamente in mano le periferie (comuni e province). Lo scopo era creare un avamposto del regime anche nei piccoli comuni: il podestà scelto dal prefetto, il prefetto scelto da Roma, la consulta comunale (che sostituiva giunta e consiglio comunale) scelta da podestà e prefetto. Sulla carta i ruoli all'interno di questo schema erano ben definiti: nella pratica, però, il caos istituzionale era enorme e in questo trambusto (che Mussolini si guardava bene dal razionalizzare) giocavano un ruolo fondamentale le personalità individuali e l'ascendete politico ed economico del singolo, a riprova del fatto che, volendolo e avendone l'opportunità, i podestà disponessero di un potere ben maggiore di quanto si potrebbe supporre. Dalle barricate in poi il fascio parmense cercava fortemente di rimettersi in piedi. Nato in Borgo Scacchini nel 1888, Mario era figlio di Giuseppe, proprietario della maggiore fabbrica per la produzione di busti per signora della città. Nel 1907, durante lo sciopero delle bustaie, proprio Giuseppe ebbe un ruolo molto attivo nella difesa degli interessi del padronato, mostrandosi particolarmente ostile nella contrattazione con le sue operaie, le quali versavano nelle peggiori condizioni della categoria in città. Nel 1921 Mario si iscrive al partito e subito dopo le barricate del 1922 inizia la sua ascesa in politica locale: toccherà il culmine della sua carriera nel 1934, entrando a far parte del Gran Consiglio del Fascismo. Uomo piuttosto colto, al momento della sua nomina si sottolineava la sua propensione per gli affari e la sua conoscenza delle lingue straniere ma anche la sua capacità di assommare a sé un gran numero di cariche, tra le quali ispettore della Cassa di Risparmio e consigliere del Monte di Pietà. Questo sommarsi di impegni si protrasse nel tempo e, oltre a essere un chiaro segnale del fatto che egli raccogliesse un largo consenso, districa davanti allo studioso la matassa dei molteplici interessi da lui rappresentati. Ricoprì anche la carica di nuovo presidente del Rotary Club cittadino: si trattava di un club che, dopo il caso Lusignani, aveva cessato ogni attività già nel 1926. La nomina di Mantovani alla presidenza aveva il chiaro sapore di una nuova legittimazione, sopratutto in considerazione dei soci che seguirono Mantovani nel club: tra questi, il maestro Ferrari-Treccate, il prof. Lasagna e il prof. Rabazzoni. La volontà di dare nuova legittimazione al Rotary cittadino coincideva con la volontà, in particolare della segreteria Turati, di appoggiare gruppi professionali modernizzanti: fino agli inizi degli anni '30 il regime incoraggiò la nascita di una nuova classe dirigente, spingendo per una rifondazione borghese basata sul primato della borghesia capitalista. Mantovani sarà anche presidente della commissione teatrale del Regio, il tempio della lirica parmense. Erano anni molto difficili per la lirica italiana, poiché la crisi economica colpiva tutto l'indotto; il "circuito musicale” parmense era molto articolato, quindi i posti di lavoro a rischio erano tanti. Anche in questo caso problematico, la figura di Mantovani assunse un ruolo chiave. Indubbio è, però, che le più importanti attività di Mantovani si svolsero in relazione alla guida del Comune. Basti pensare all'analisi della composizione delle consulte municipali: esse avrebbero dovuto godere di una composizione ispirata al sistema corporativo ma ciò che, invece, emerge chiaramente è che, paradossalmente e in pieno contrasto con il corporativismo, vi fu un brusco calo della rappresentanza della piccola borghesia e dei salariati. Questi dati confermano che il podestà rappresentasse l'insediarsi, alla guida del Comune, di una nuova élite di stampo capitalistico borghese. Mantovani era la persona più adatta a questo compito, sia per ragioni personali, in quanto egli stesso appartenente alla ricca borghesia industriale, sia politiche, essendo uomo capace di amministrare con largo consenso il Comune, piacendo nel tempo a ben quattro prefetti diversi. Una volontà visibilmente accompagnata dalla precisa intenzione di allontanare i ceti più bassi della società parmense anche dal centro cittadino in senso strettamente fisico. Con un investimento imponente per i tempi, la gran parte dei quartieri dell'Oltretorrente fu demolita, per creare al loro posto nuovi quartieri adatti alla media borghesia. Gli abitanti dell'Oltretorrente (in maggior parte operai e, non a caso, protagonisti delle barricate del '22) furono per lo più alloggiati lontano dall'aggregato urbano, nei così detti capannoni: fabbricati ultrapopolari, angusti e malsani. Nel frattempo, la Parma nuova subiva interventi urbanistici non meno significati.

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