I sentieri del caso di David Peat edito da Di Renzo Editore
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I sentieri del caso

Collana:
I dialoghi
Traduttore:
Garofoli F.
Data di Pubblicazione:
1 gennaio 2004
EAN:

9788883230790

ISBN:

8883230795

Pagine:
144
Formato:
brossura
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Descrizione I sentieri del caso

Nelle pagine di questo libro è narrato un percorso nomade e affascinante, che va dai fondamenti della fisica quantistica allo studio dei sistemi complessi, passando per l'arte, la filosofia, la psicoanalisi, l'impegno sui problemi etici. In questo cammino, apparentemente tortuoso e casuale, si può vedere una fedeltà all'essenza, il bisogno di guardare alla scienza non come collezione di oggetti, ma come esperienza interiore.

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3 di 5 su 1 recensione

L'osservatore è l'osservatoDi D. Marco-18 agosto 2010

In questa raccolta di brevi saggi, scritti sotto forma di autobiografia, David Peat brillante fisico teorico allievo di David Bohm, cerca di esplorare nuove idee nei campi più disparati: gli archetipi situati fuori dallo spazio e del tempo e la sincronicità di Carl Gustav Jung, la nozione di psicoterapeuti come Wilhelm Reich e Stanislav Grof secondo cui la coscienza sarebbe correlata al corpo, l’importanza della funzione dell’arte e della musica per la comprensione della natura dei quanti, l’idea che le varie culture umane sono semplicemente paradigmi alternativi di organizzazione della visione del mondo, la riproducibilità nello spirito di leggi naturali matematicamente formulate. Ma tutto sotto il segno del rifiuto di ogni visone ipocrita della scienza imposta dai tabù culturali di oggi che fanno della purezza il suo vessillo naturale e coll’intento di fare piazza pulita di ogni vecchio cartesian cult, che sopravvive ancor oggi. L’idea fondamentale che muove tutto il libro è quella di mostrare che è il nostro atto di osservazione, l’apparato che usiamo, che fornisce le condizioni che ci inducono ad accettare gli assunti che nell’universo esistano oggetti ben definiti che possiedono qualità intrinseche (come velocità e posizione nell’elettrone) e che tutto ciò invece non esiste al di fuori dell’esperimento. Non siamo degli osservatori imparziali di un universo oggettivo. Quando interroghiamo l’universo le domande che ci poniamo influenzano le risposte che riceviamo: la scienza non descrive la realtà, bensì soltanto la nostra esperienza di essa. Per l’autore, come per i fisici Wolfgang Pauli e Niels Bohr ed altri, esiste una stretta connessione tra il modo di lavorare della mente e il livello quantistico. Peat cita Bohm: “ Lo spin non può essere ricondotto alla fisica classica. Avverto la presenza nella mia mente di uno spin che va verso l’alto e di uno che va verso il basso, cosicché io stesso vado ora in alto ora in basso Ho la sensazione di partecipare interiormente a una trasformazione analoga. Non posso spiegarlo, ma sono costretto a lavorare con un senso di tensione nel corpo”. Anche il pensiero matematico di Einstein, secondo l’autore, prendeva forma a livello di tensioni muscolari interne che lo costringevano a movimenti della mano. Indagando il mondo dell’arte Peat scopre che anche i musicisti sperimentano qualcosa di analogo e che l’esecuzione musicale dipenda dall’armonizzazione dei movimenti corporei interni, dall’equilibrio, dal battito cardiaco. Di fronte a una tela di Cezanne, l’artista riesce a fargli evocare quelle sensazioni da lui stesse vissute un secolo prima: “ Cezanne stava suonando la mia mente e il mio corpo come uno strumento musicale io stavo rispondendo a ciò che egli stesso aveva provato dinanzi alle sue figure”. Ma è nei rapporti della fisica quantistica con la filosofia del linguaggio, che l’autore dà il contributo più singolare alla ricerca. Peat cita Bohr: ” Il linguaggio ci tiene sospesi, così non sappiamo quale via conduca verso l’alto e quale verso il basso” e Wittgenstein: “ Non chiederti cosa significhi una parola, ma come usarla” e da queste affermazioni parte per un’avvincente indagine sui condizionamenti che subisce il nostro linguaggio. Per Peat il nostro linguaggio si è sviluppato in un ambito classico e macroscopico e dunque mostra dei limiti ben precisi quando tentiamo di applicarlo a modelli d’esperienza lontani e diversi da questo. E questo accade lo stesso con i termini di un’argomentazione filosofica: le persone credono di dire tutte la stessa cosa, ma in realtà partono da assunti sottilmente differenti. Il fatto è questo: non abbiamo un linguaggio adatto a esprimere le verità ultime fisiche o filosofiche perché il nostro linguaggio è basato sui nomi, così tendiamo a vedere un mondo fatto di oggetti e interazioni, di categorie e concetti, e a sistemare le cose in categorie fisse. Dobbiamo imparare a vivere in un universo partecipativo il che significa che io e voi siamo parte dell’equazione, perché i mattoni stessi dell’universo sono questi atti di osservazione partecipata. Questa in finale sembra essere l’invito e la sfida che l’autore propone all’uomo intelligente di oggi. (Marco Dominici)