La ricchezza delle religioni. L'economia della fede e delle chiese

Che gli economisti abbiano compreso che da soli l’economia e il mercato non possono spiegare tutto della realtà umana (e quindi anche dell’economia e del mercato)? La domanda provocatoria sorge spontanea soprattutto se si pensa agli autori: Robert J. Barro - di formazione un fisico-matematico, uno degli economisti più importanti del dopoguerra, un duro e puro della scienza economica, esperto della crescita, scomodo alfiere dalle pagine di Newsweek di politiche economiche «senza illusioni» - e Rachel McCleary - filosofa dell’università di Harvard, oltre che la sua compagna di vita.
Non è intenzione degli autori proporre politiche economiche o teorie economiche di ispirazione religiosa, o elogiarne alcune a scapito di altre che abbiano recepito differenti valori confessionali. Barro e McCleary, nel modo più laico e scientifico possibile e con un taglio il più ampiamente comprensibile anche ai non specialisti, intendono spiegare come le scelte religiose abbiano condizionato la produzione di ricchezza, il benessere di molte aree del globo. Senza alcuna pretesa di necessità causa-effetto, vengono così puntigliosamente messi in relazione alcuni dati macroeconomici con altri relativi alla diffusione e alla prassi religiosa. Ne risulta che la religione non determina in modo esclusivo lo sviluppo economico, ma è altresì chiaro che ben poco possiamo capire delle dinamiche di crescita economica di vari paesi - siano essi l’Italia, l’India, l’Arabia Saudita, il Rwuanda, gli USA etc. - senza contabilizzare anche l’influenza della religione.
Gli Autori, contrariamente a quanto è convinzione diffusa anche tra alcuni economisti «liberali», sembrano dirci che è la religione a influire sul mercato, non solo il contrario, e che è un problema degli economisti formalizzare tale complessa quanto effettiva liason.