Regione di confino la Calabria (1927-1943)

Le leggi “fascistissime” del 1926, con le quali il fascismo avviò l'Italia verso una dittatura, che si proponeva il controllo totalitario della vita pubblica e privata dei suoi abitanti, istituirono, fra l'altro, il confino politico di polizia. Un'apposita commissione provinciale provvedeva a giudicare, sulla base delle denunce del questore e delle informazioni raccolte dai carabinieri, la potenziale pericolosità di quanti erano contrari al regime o lo criticavano, senza, peraltro, concedere loro alcun diritto alla difesa. Gli antifascisti, così condannati, furono dapprima inviati su talune isole del Mezzogiorno e, quando non vi fu più posto, dislocati in località di terraferma, che, per condizioni di arretratezza sociale e per carenza di vie di comunicazione, si presentavano come carceri naturali, da cui era difficile fuggire. Sottoposti ad uno stretto controllo, esercitato dalla milizia, dalla polizia e dai carabinieri, e nell'impossibilità di trovare un lavoro, in luoghi che spesso non ne avevano per i propri abitanti, i confinati si dibattevano tra difficoltà economiche, che ne rendevano precaria l'esistenza, e soprusi ed arbitrii delle forze dell'ordine.La Calabria ebbe il discutibile privilegio di essere scelta come sede di confino. Molte sue località ricevettero, durante il ventennio, numerosi antifascisti. Il più noto è Cesare Pavese, il quale trascorse il periodo della pena a Brancaleone, ma furono alcune migliaia le persone, eroi dimenticati, che il regime inviò nell'estremo sud della penisola, strappandoli alla famiglia e ad una consuetudine di vita, laboriosa e civile. Malgrado la sua entità, il fenomeno è stato, fino ad ora, affrontato con difficoltà da quanti si sono occupati delle vicende regionali e nazionali. Questo volume, raccogliendo gli atti di un convegno, ne analizza, sulla base di un'ampia ricerca, ragioni e protagonisti e propone una più vasta riflessione intorno ad un argomento difficile della storia italiana.Ferdinando Cordova, professore ordinario di storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma “La Sapienza”, è autore di numerosi studi, che hanno analizzato la lotta politica e la cultura dell'Italia dall'Unità alla Repubblica. Ricordiamo, in particolare, Arditi e legionari dannunziani, Marsilio, Padova, 1969; Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, Bari, 1974 (La Nuova Italia, Firenze, 1990); Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, 1980; Massoneria e politica in Italia (1892-1908), Laterza, Roma-Bari, 1985; Alle radici del malpaese. Una storia italiana, Bulzoni, Roma, 1994; “Caro Olgogigi”. Lettere ad Olga e Luigi Lodi. Dalla Roma bizantina all'Italia fascista (1881-1933) , Franco Angeli, Milano, 1999; Le scelte di allora. I militari italiani in Montenegro, (con Clemente Gavagna e Mario Themelly) , Franco Angeli, 2001; Il fascismo nel Mezzogiorno: le Calabrie, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, che ha ottenuto i premi Feudo di Maida e Rhegium Julii per la saggistica.Il suo ultimo lavoro è Verso lo Stato totalitario. Sindacati, società e fascismo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005.Dirige il periodico "Giornale di Storia Contemporanea". Pantaleone Sergi, inviato speciale del quotidiano "La Repubblica", è docente di Storia del Giornalismo, della Stampa e dell'Editoria presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università della Calabria. Ha scritto, tra l'altro, i volumi La “Santa” violenta, Periferia, Cosenza, 1991, al quale sono stati assegnati i Premi Sila ed Anassilaos; Le mie Calabrie, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1993; Quotidiani desiderati, Edizioni Memoria, Cosenza, 2000; Il quotidiano dei 57 giorni, Edizioni Memoria, Cosenza, 2001; Gli anni dei Basilischi. Mafia, Stato e Società in Basilicata, Franco Angeli, Milano, 2003; Pane, pace e Costituente. Una “Voce” socialcomunista in Puglia (1945-1947) , Bulzoni, Roma, 2004. Ha pubblicato, inoltre, contributi di ricerca su diverse riviste storiche. Dirige il trimestrale "Comunicando".