La pittura incarnata. Saggio sull'immagine vivente di Georges Didi-Huberman edito da Il Saggiatore
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La pittura incarnata. Saggio sull'immagine vivente

Collana:
La cultura
Traduttore:
Guindani S.
Data di Pubblicazione:
29 maggio 2008
EAN:

9788842812616

ISBN:

8842812617

Pagine:
165
Formato:
brossura
Argomenti:
Teoria delle arti, Figure umane nell'arte
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Descrizione La pittura incarnata. Saggio sull'immagine vivente

Il fine della pittura è andare oltre la pittura, afferma Honoré de Balzac, che nel "Capolavoro sconosciuto" narra il mito di quest'arte, le sue origini, i suoi mezzi, i suoi estremi. Nella scena cruciale del racconto, Poussin e Porbus sono davanti all'opera del loro maestro Frenhofer, un ritratto così perfetto agli occhi del pittore, da fargli credere che la donna raffigurata sia viva, che si muova, che respiri. Dal drammatico desiderio dell'artista di rendere viva la carne dipinta, nascono i "pensieri sparsi" di Georges Didi-Huberman sul problema estetico dell'incarnato in pittura. L'autore ripercorre e interpreta le riflessioni sviluppatesi intorno all'"esigenza della carne", da Cennini a Diderot, Hegel, Merleau-Ponty. Richiama i miti di Pigmalione e Orfeo. Penetra nello struggimento che costringe l'artista a "scendere nell'inferno" per rendere vivo l'oggetto della pittura, per dare vita alla sua Galatea, per ridare la vita alla sua Euridice. Non solo. Didi-Huberman affronta anche il dopo, quello che avviene quando l'artista ha ormai realizzato l'opera, il senso di perdita, o la perdita di sé, che può derivarne: se l'oggetto della pittura, la carne, si perde irrimediabilmente sulla superficie piana, che cosa rimane? Un bagliore? Un dettaglio? Un lembo? O niente? In appendice "Il capolavoro sconosciuto" di Honoré de Balzac. Il fine della pittura è andare oltre la pittura, afferma Honoré de Balzac, che nel Capolavoro sconosciuto narra il mito di quest'arte, le sue origini, i suoi mezzi, i suoi estremi. Nella scena cruciale del racconto, Poussin e Porbus sono davanti all'Opera del loro maestro Frenhofer, un ritratto così perfetto agli occhi del pittore, da fargli credere che la donna raffigurata sia viva, che si muova, che respiri. La visione del quadro lascia i due osservatori stupiti: "Vedete niente, voi?" domanda Poussin a Porbus. "Io no. E voi?" "Niente." Dal drammatico desiderio dell'artista di rendere viva la carne dipinta, nascono i "pensieri sparsi" di Georges Didi-Huberman sul problema estetico dell'incarnato in pittura. L'autore ripercorre e interpreta le riflessioni sviluppatesi intorno all'"esigenza della carne", da Cennini a Diderot, Hegel, Merleau-Ponty. Richiama i miti, che sempre ritornano, di Pigmalione e Orfeo. Penetra nello struggimento che costringe l'artista a "scendere nell'inferno" per rendere vivo l'oggetto della pittura, per dare vita alla sua Galatea, per ridare la vita alla sua Euridice. Non solo. Didi-Huberman affronta anche il dopo, quello che avviene quando l'artista ha ormai realizzato l'opera, il senso di perdita, o la perdita di sé, che può derivarne: se l'oggetto della pittura, la carne, si perde irrimediabilmente sulla superficie piana, che cosa rimane? Un bagliore? Un dettaglio? Un lembo? O niente? In appendice Il capolavoro sconosciuto di Honoré de Balzac

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