L' ombra più lunga. Tre racconti sul padre di Gianfranco Pecchinenda edito da Colonnese
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L' ombra più lunga. Tre racconti sul padre

Editore:

Colonnese

Data di Pubblicazione:
21 settembre 2007
EAN:

9788887501971

ISBN:

8887501971

Pagine:
75
Formato:
brossura
Argomento:
Racconti
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Trama L' ombra più lunga. Tre racconti sul padre

Tre racconti di grande suggestione che coniugano uno dei temi più cari alla letteratura moderna: il rapporto di un figlio con la figura paterna, ovvero con la figura più ingombrante e necessaria nella vita di ogni uomo. Come per il "Pedro Páramo" di Juan Rulfo, la ricerca di un rapporto si traduce, alla fine del viaggio, nella mera conoscenza di se stessi.

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5 di 5 su 2 recensioni

Riflessioni sulla figura paternaDi r. gianpiero-5 agosto 2010

Il libro di Pecchinenda riesce a coinvolgere il lettore in un'appassionante serie di brevi ma intense storie (i tre racconti, appunto) sulla figura paterna. Io credo che se un libro riesce a proiettarci e ad appassionarci, commuovendoci a tal punto da far ritrovare, nel padre narrato, il nostro padre (o l'immagine che abbiamo di lui), ciò vuol dire che l'operazione artistica è riuscita. Questo è quello che io ho ritrovato in questo struggente splendido libricino. Una vera chicca!

Un Raskolnikov postmodernoDi M. Riccardo-25 giugno 2010

Pietro Rinaldi, il protagonista de "La Pampa Verticale", racconto che apre il trittico sulla figura paterna del narratore esordiente Gianfranco Pecchinenda (L'ombra più lunga, Editore Colonnese), è un anziano uomo caratterizzato da una interiorità logorata dal senso di colpa per due tremendi delitti di cui la sua coscienza si è irrimediabilmente macchiata. Pietro ha infatti in passato ucciso prima la madre e poi il padre. Lo ha fatto, come confesserà nel corso del racconto, per motivi di pura e sincera pietas. Ciò però non gli impedirà di soffrire enormemente e, soprattutto, di portare a compimento ciò che già da tempo aveva molto razionalmente programmato: un suicidio. Con tale gesto egli intende, più che assumersi il castigo per gli atti commessi, liberare il proprio figlio da quello che altrimenti sarebbe per lui un destino segnato; egli intende in sostanza evitare che il figlio possa diventare anch egli: esecutore materiale di una sentenza definitiva e inappellabile: uccidere il proprio padre. Senza più Dio, senza i suoi pur fragili succedanei, ciò che sembra restare appannaggio del protagonista di questo racconto, è il dovere di gestire in modo responsabile il gesto che necessariamente sancisce il passaggio intergenerazionale, la trasmissione della colpa di padre in figlio. Ed è precisamente in tal senso che è possibile inserire il sensibile e complesso carattere questo tormentato personaggio in quella lunga tradizione di narrazioni che mettono al centro della riflessione il rapporto dell uomo con la colpa e il castigo, tradizione che ha ovviamente quale ineguagliabile maestro Fedor M. Dostoievskij. Nel romanzo-capolavoro Delitto e Castigo, come è noto, il momento chiave è rappresentato da un duplice omicidio a scopo di rapina. Una delle questioni centrali è quella della ricerca del castigo. Una volta commesso un delitto, il prezzo da pagare, se si riesce a sfuggire alla condanna prevista dalla società alla quale si appartiene, è praticamente insostenibile: il tormento interiore. Senza il controllo divino, suggerisce il grande maestro russo, la società sembra non essere in grado di poter elaborare modelli morali sufficienti ad evitare determinati comportamenti devianti, primo tra tutti l'assassinio. Qualche anno dopo, la psicoanalisi proverà a fornire qualche barlume di luce razionalizzante alla ricerca di modelli di possibile riferimento per l'uomo moderno, alla ricerca di una sua più sostenibile autonomia. Non più la salvezza attraverso la sofferenza cristiana, ma la salvezza attraverso la conoscenza profonda di sé; una profondità ignota anche a sé stessi, profondità sul cui fondo si muove quel nuovo ente chiamato inconscio. Un nuovo Raskolnikov, un nuovo personaggio che cera disperatamente di poter espiare le proprie colpe (vere o presunte), di poter legittimare e definire la propria autonomia e, con essa, il senso della propria esistenza, lo ritroviamo rappresentato nel Pietro Rinaldi di Pecchinenda, ma in una nuova e rinnovata veste, più consona alle recenti innovazioni emerse nell'ambito della cultura occidentale. Innanzitutto, osserverei, Pietro Rinaldi ha una identità molteplice; nella sua confessione-autobiografia dichiara fin da subito di essere, oggi, Pietro Rinaldi, ma di essere stato anche altri: Altri nomi (Aniello Barile, poi Pedro e solo alla fine Pietro), altre biografie, altre relazioni (mogli, compagne, figli, amici, colleghi). Inoltre egli non avrà più, di fronte a sé, come figura di autorità e giudice né il Dio trascendente, né quello interiorizzato, né tanto meno il Padre (naturale o simbolico), ma solo sé stesso, un sé stesso trasfigurato in scrittura; e la richiesta del perdono l'unica possibilità, nel suo caso, per poter espiare la colpa, una volta ucciso definitivamente ogni possibile padre, e in vista del proprio suicidio, è diventato il figlio, in quella che sembra una inversione generazionale dei rapporti di autorità assai indicativa e significativa delle complesse e talvolta incomprensibili trasformazioni socio-culturali di questa tarda modernità.