La miglior vita di Fulvio Tomizza edito da Mondadori

La miglior vita

Editore:

Mondadori

Edizione:
2
Data di Pubblicazione:
1 luglio 2000
EAN:

9788804485933

ISBN:

8804485930

Pagine:
320
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4 di 5 su 4 recensioni

Ritorno a MateradaDi r. paolo-16 maggio 2015

Con questo romanzo l'autore, ormai consapevole dell'arricchimento della propria poetica dopo le precedenti esperienze narrative, tenta un'ulteriore ricognizione tematica delle dimensioni collettive della vita di Materada, della quale sono qui ricomprese le vicende di quasi un secolo di storia paesana, dagli inizi del Novecento agli anni Settanta. Questa panoramica storica consente allo scrittore di ampliare il suo raggio di azione nella ricerca storiografica che lo ha accompagnato. Il raggiungimento delle coordinate culturali indagate fin qui viene ottenuto tramite un estremo sforzo di approfondimento.

Il miglior libro di TomizzaDi L. Pina-4 maggio 2012

Narrazione tra il romanzo storico e la narrazione popolare (dell'uno ha la cadenza, dell'altro la mitologia) , La miglior vita fa affiorare dall'interno - con la voce di un personaggio chiave della piccola comunità di cui si narrano le vicende - il mondo rurale ai confini della Storia: un mondo che - rimasto immobile e monolitico per secoli viene sconvolto dagli avvenimenti del secolo breve. Bellissime avventure di frontiera (siamo in Istria) dal respiro, quasi, manzoniano.

MartinoDi M. Amalia-29 dicembre 2011

Libro permeato di tristezza dalla prima pagina all'ultima, scritto prima che il fenomeno "fojbe" fosse riportato alla doverosa attenzione, con inoltre una scelta di parte "slava", anche se l'io narrante, Martino, è altrettanto italiano e austroungarico. La lunga vicenda umana del sacrestano Martino, la sua discrezione di uomo, il suo essere padre e marito, tutto scorre in questa storia. I protagonisti sono i sette parroci che si sono avvicendati nel paese istriano di Martino. C'è la storia di una popolazione dai tratti confusi, per chi la guarda dall'esterno. C'è tutta la tristezza dell'abbandono a se stessi, del fatto di contare solo per ragioni politiche o di potere. E sullo sfondo, sempre onnipresente, la miglior vita, quella cui Martino è preparato dalla fanciullezza, ma alla quale non si è saputo preparare il suo unico (e troppo vitale) figliolo. Non una passeggiata, quindi, ma un libro impegnativo e fecondo, da leggere, da rileggere.

La storia di un popoloDi M. Renzo-3 novembre 2008

Fulvio Tomizza è riuscito con questo libro a dare una visione completa di un popolo spurio, che solo alla fine della prima guerra mondiale si è accorto di essere italiano o slavo, non per scelta individuale, ma in quanto questa suddivisione divenne forzata. Questa gente, costituita per lo più da poveri contadini e che parlava un dialetto a metà fra l'italiano e il croato, non appena le terre su cui vivevano passarono all'Italia, si trovò improvvisamente, e non autonomamente, italiana. E così la nostra lingua divenne quella unica e ufficiale a tutti gli effetti, tanto che durante le messe al celebrante fu imposto di usarla, al posto del latino; a quelli che italiani non erano fu rivolto un deciso invito ad emigrare, ad andare nel neonato stato jugoslavo. In forza di ciò quelle popolazioni decisero di essere italiane o croate, con fratture insanabili anche all'interno della stessa famiglia, e fu in quella circostanza che non pochi, magari aggiungendo solo una vocale, italianizzarono il loro nome. E sarà un'altra guerra a rimescolare le carte, a far perdere definitivamente la propria identità a quella popolazione contadina, a quel mondo arcaico che in seno all'impero asburgico conviveva senza problemi, consapevole solo di essere una comunità. Di questa tragedia, perché di tragedia si tratta, Fulvio Tomizza parla in La miglior vita, romanzo certamente non facile, da leggere con attenzione per poter comprendere attraverso il racconto di un sagrestano, Martin Crusich, non solo la realtà di questo microcosmo, ma anche, allargandone la visione, gli aspetti cruciali di un secolo. Così ci narra di due grandi guerre, di cambiamenti di nazionalità, di esodi volontari oppure forzati, di una grande epidemia di vaiolo, di un terremoto, di una rivoluzione socialista, e questo partendo dal particolare, da quel piccolo paese di Radovani in cui Martin Crusich è ombra fidata dei ben sette parroci che si succedono, dalla figura solenne e ieratica di Don Stepe al personaggio tormentato di Don Miro, vittima di una passione, di cui si punirà autodistruggendosi con il vizio del bere e nulla facendo per curarsi dal cancro che lo ha colpito. Dopo di lui, stante il regime socialista, la parrocchia non avrà più il suo prete e nell'abitazione riservata ai sacerdoti si ritirerà Martin, testimone di un'epoca e custode ultimo della memoria. Scritto così può sembrare poca cosa, ma questo romanzo, non solo è unico nel suo genere che potremmo definire epico di frontiera, ma è anche una storia di uomini complessi e semplici al tempo stesso, di sentimenti, di gioie e di dolori. Al riguardo, le pagine in cui viene descritto il trasporto a casa su un carretto trainato da un asino e alla cui guida c'è Martin del cadavere dell'unico figlio Antonio, partigiano morto combattendo, sono di una bellezza indescrivibile; non c'è il ricorso alla facile commozione, anzi questo viaggio, che è forse una metafora di un popolo così smembrato e che può ritornare alle sue case solo quando non è più in vita, è descritto con uno stile asciutto, senza indulgere a pietismi, ma proprio per questo tocca livelli di alta drammaticità che segnano profondamente l'animo del lettore, apparendo del tutto naturali. Il romanzo termina con l'ultima annotazione di Martin Crusich, che avverte che la sua ora sta per arrivare, e che scrive: " Scende sulla terra il vuoto dei cieli o su di noi si spalanca la miglior vita? Questo non sapevo, che il mondo muore a ogni morte di un uomo.". E' un "per chi suona la campana" che conclude in modo superbo un romanzo di rara bellezza.