La guerra siamo noi. Storie della Basilicata di Giuseppe Decollanz edito da Levante

La guerra siamo noi. Storie della Basilicata

Editore:

Levante

Data di Pubblicazione:
2008
EAN:

9788879494878

ISBN:

8879494872

Pagine:
252
Argomento:
Racconti
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TRIBUTO D'AFFETTO AD UN BAMBINO CORAGGIOSODi D. Carlo-22 febbraio 2009

Con la spettacolarizzazione di tutti gli eventi, le guerre sono diventate un fatto mediatico, da vedere in televisione con immagini truculente per fare audience, di cui non si percepisce la drammaticità reale. Dietro di esse, ci sono storie: di soldati e di civili, di lutti, di famiglie spezzate, di vedove, di orfani, di fame, di ordinaria ma dignitosa miseria e di quotidiano eroismo per sopravvivere. Proprio per questa dimensione patica sono appassionanti le storie raccontate da Giuseppe Decollanz - docente universitario, già Dirigente Tecnico del MPI, apprezzato studioso di storia della scuola - che dopo circa quindici anni torna a "narrare"; storie di uomini, di donne e di bambini in guerra. Nella sua ultima fatica La guerra siamo noi, le storie raccontate sono effettivamente accadute e sono esistiti tutti i personaggi che ne sono protagonisti in un piccolo centro della Basilicata, Montepeloso. Il nome è quello antico di uno dei tanti paesi su una franosa collina della Basilicata al confine con la Puglia(p.29) - dalle fiere tradizioni socialiste (detta la rossa), diffusesi agli inizi del 900 (per opera dell'avv. Musacchio, deputato gravinese), mantenute vive durante il Ventennio e rifiorite con il ritorno alla democrazia. “La guerra siamo noi! Siamo noi che ci troviamo sempre in mezzo a patire, a soffrire e a morire! C'è chi la fa e chi la subisce. Noi la patiamo!(p.9): era il pensiero quasi unanime dei montepelosani, che vissero la feroce occupazione germanica, l'arrivo liberatorio degli angloamericani con il suo carico di speranze per l'avvenire e l'immediato dopoguerra. Protagonista del libro è Pippinillo, un ragazzino intelligente ed intraprendente che della guerra conosce già l'aspetto più tragico: il suo papà Luigi, artigliere, è caduto dopo due mesi di guerra sul fronte albanese e la mamma Antonietta compie sacrifici inenarrabili per far crescere i tre figli, Pippinillo, Nicolino e Raffaelino. Molto struggenti i luoghi in cui l'Autore parla del padre di Pippinillo che partito da Montepeloso, per partecipare alla varie guerre combattute da Mussolini, quando lui aveva soltanto tre anni, non aveva fatto in tempo a stamparlo nella memoria, non riusciva a ridisegnarlo né con gli occhi né con la mente (p.179): non era più tornato, neppure in un cassetto di ossa da deporre e sistemare nel sacrario dei Caduti d'oltremare a Bari(p.198). L'assenza del padre è surrogata per Pippinillo dalla figura del nonno materno:nonno Nicola era tutto per lui! Il nonno era il suo maestro, il suo tutore, colui che gli insegnava a impugnare la falce ed a tenere il passo con la paranza dei mietitori, era l'uomo che aveva sostituito il padre, che dall'Albania non era più tornato. Pippinillo lo amava e lo temeva; cercava in tutti i modi di aiutarlo, si amareggiava quando da lui veniva rimproverato, ma non cessava mai di tenere gli occhi fissi su di lui mentre lavorava; si sentiva come un pulcino accovacciato sotto l'ala protettrice della chioccia quando gli posava la mano sulla testa e abbozzava una lieve e breve carezza. Quando stava vicino a lui e ascoltava la sua voce, si sentiva al sicuro e quasi dimenticava di essere un povero orfanello. Pippinillo, invece, è un bambino vivace, leader di un gruppo di suoi coetanei con cui condivide giochi e vicende che assumono spesso i contorni di lotta per la sopravvivenza (pp.20-23 e 131-146). Un libro, scritto in uno stile piano ed accessibile anche da ragazze e ragazzi preadolescenti: anzi, proprio loro dovrebbero essere stimolati dai docenti a leggerlo al fine di acquisire, attraverso la narrazione rievocativa, quella coscienza storica, che è precondizione dell'educazione alla cittadinanza attiva. E' un testo da leggere tutto d'un fiato: commovente è la conclusione della storia Il falò di Santa Lucia, un punto di svolta nella storia della vita del bambino protagonista: Pippinillo può andare in collegio. Passarono solo tre giorni, il tempo di organizzare il viaggio e mettere insieme qualche straccio di corredo; poi mamma Antonietta, accompagnata dal fratello Michele, condusse Pippinillo in collegio. Seduto sul sedile di legno di un vagone delle Ferrovie Appulo-lucane, Pippinillo vide sfumare all'orizzonte le case, i monti, le vigne del paese dove aveva vissuto fino a quel momento. Mentre andava verso nuovi luoghi, capì che quell'allontanamento sarebbe stato definitivo, perché segnava la fine dei giochi, l'addio ai compagni e l'inizio di una nuova vita(p.171). Nel raccontare le vicende di Pippinillo, grandissima è la partecipazione emotiva che Decollanz esprime, la cui ragione è nella dedica agli amatissimi nipoti far conoscere ed imparare ad amare la terra delle loro radici. In Pippinillo non è difficile identificare proprio il loro nonno e la sua infanzia.