Un diamante grezzo. Vézelay-Parigi 1938-1950 di Yvette Szczupak-Thomas edito da Ponte alle Grazie
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Un diamante grezzo. Vézelay-Parigi 1938-1950

Collana:
Memorie
Traduttore:
Bruno F.
Data di Pubblicazione:
9 luglio 2009
EAN:

9788862200547

ISBN:

8862200544

Pagine:
415
Formato:
brossura
Argomenti:
MEMORIE, Storia dell'arte e stili artistici: dal 1900 in poi
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Descrizione Un diamante grezzo. Vézelay-Parigi 1938-1950

Prima di avviare la carriera d'artista, Yvette Szczupak-Thomas sperimenta la miseria più estrema e umiliante nella Borgogna rurale di fine anni Trenta ed è allontanata dalla persona a lei più cara, la madre affidataria Blanche. Proprio da quest'ultima riceve un dono prezioso, un insegnamento che la guiderà per sempre: "Non dimenticare mai che nessuno può sporcarti, sminuirti, umiliarti, se non tu stessa". Yvette saprà farne tesoro, trasformandolo in un baluardo contro le difficoltà della vita, difficoltà che non vengono meno nemmeno dopo l'adozione da parte di una coppia di intellettuali parigini che la introducono nella bohème di Saint-Germain-des-Prés, tra artisti del calibro di Pablo Picasso, Georges Braque, Paul Eluard e Rene Char. Se da un lato, infatti, Yvette gode di un'educazione artistica d'eccezione, dall'altro dovrà confrontarsi con le più bieche sordidezze dell'ambiente e dell'epoca, lottando con tutta se stessa per preservare dalle scalfitture quel diamante grezzo che è il suo io più profondo, il suo intimo splendore. È la prova che il suo spirito sia riuscito a volare alto sono proprio queste pagine, da cui emerge prepotente la sua voce pura e graffiante, il suo sguardo ingenuo e impietoso, che trascina il lettore in uno sconvolgente viaggio tra le ombre dell'umanità.

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4 di 5 su 1 recensione

Ottimo. ma...Di S. Bruno-31 agosto 2009

Non so se questo libro possa definirsi un capolavoro letterario dal punto di vista strettamente estetico, in quanto pur trattando fatti e questioni di esplosiva drammaticità psicologica, il loro innesco nell'animo del lettore potrebbe risultare attardato, se non distolto, da un approdo espressivo più simile ad una compiaciuta esercitazione intellettuale dell'autrice, piuttosto che ad una improrogabile liberazione poetica o, appunto, esplosione del suo animo. Sto tentando di dire che qui, secondo me, l'immedesimazione del lettore nei pur obiettivi strazi autobiografici dell'io narrante viene compromessa dalla difficoltà di un genuino approdo simpatetico estraneo laddove la stessa protagonista sta orgogliosamente mostrando quanto già è stata brava lei a sublimare in arte le proprie vicende dolorose. Ora, come c'è traccia "perfino" sui comuni vocabolari, la poetica in generale è l'arte di suscitare emozioni, a prescindere dalla forma e dal campo espressivo, codificate o meno: per esempio pittura, musica, letteratura, scultura, architettura e così via, ma pure chessò le capriole di un clown. E qui invece si crea, sempre a mio sommesso parere, una sorta di inevitabile cortocircuito tra lettore e lettura: perché se si tratta di lettore culturalmente adeguato al tipo di narrazione, egli tenderà ad apprezzare la forma, ma meno ad emozionarsi su sofferenze già così orgogliosamente sublimate e alienate dalla stessa vittima; mentre un lettore diciamo più naif magari all'inizio si farà abbacinare da estemporanei bagliori emotivi, ma tenderà a stancarsi per la difficoltà dell'approccio culturale. Elemento di interesse a sé è la scoperta sconcertante delle "bieche sordidezze dell'ambiente e dell'epoca" (v. descrizione qui sopra), raro esempio di raffinato gossip d'autore. Non posso chiudere senza citare l'ottimo traduttore Francesco Bruno, al quale va tutto il mio apprezzamento per l'abilità e la santa pazienza con cui ha saputo destreggiarsi tra i frequenti e compiaciuti bisticci cui, a volte troppo, si presta la lingua francese.