Trama La casa del quarto comandamento
Vivi in una nazione libera e democratica. Non hai commesso alcun reato, non sei pazzo però sei vittima di una grave malattia: sei vecchio. Un giorno ti strappano da casa, perdi la tua libertà e finisci in un luogo dove t'impongono regole di ogni tipo. I familiari e i vicini lo sanno, tutti lo sanno, ma per tutti è normale. Martino crede di impazzire. Medita il suicidio, ma è un uomo dal carattere forte e reagisce. Con la complicità di Oddo e di Leda comincia una battaglia contro l'istituzione che lo imprigiona. Un atto d'accusa sulla condizione degli anziani costretti in case di riposo. Non i "rimbambiti", quelli non più autosufficienti, ma persone "normali", quelli prima sfruttati dai figli e poi gettati nella discarica degli istituti.
Recensioni degli utenti
La casa del quarto comandamento-26 settembre 2011
Salvador è narratore esperto e abile con le parole, dispiace che sia poco conosciuto. I piccoli dispetti quotidiani, l'attesa spasmodica della visita dei parenti la domenica, privilegio riservato a pochi che quasi si pavoneggiano con gli altri, e l'amarezza di essere, ma di non vivere sono tratteggiati con delicatezza, senza indulgere a pietismi che avrebbero straniato una narrazione diretta, senza fronzoli, non incline ad accurate descrizioni, ma comunque di rara efficacia. Più che leggerlo l'ho divorato, più che commuovermi mi sono indignato: Salvador non poteva scrivere in modo migliore il destino della maggior parte di noi.
Peggio del carcere-18 agosto 2010
C’è qualche cosa peggio del carcere, perfino di quello a vita. Sei un innocente, hai lavorato tutta la vita per crescere la famiglia, per dare ai figli un avvenire migliore del tuo. Poi diventi vecchio, magari ti muore anche la moglie, e tu ormai esisti solo ed esclusivamente perché hai un figlio. A lui dai tutti i risparmi di una vita, offri generosamente un futuro, ma quando cominciano i primi acciacchi il ringraziamento consiste nello sbatterti in un ospizio dove non esistono i giorni, tanto sono sempre uguali, e da cui sai che uscirai solo con i piedi in avanti. In mezzo ai non autosufficienti, ai terminali, agli “andati” ti sembrerà di impazzire, poi, a poco a poco, la rassegnazione adombrerà la tua mente, riducendoti a un vegetale, a meno che non si trovi qualche cosa per cui valga ancora la pena di continuare a vivere. Prima l’amicizia di un compagno di stanza all’inizio mal giudicato, poi il desiderio di rendersi utile agli altri che vivono con te, proteggendoli dai soprusi, dalle ruberie, e infine quello che non si pensava possibile, ma che è la molla più forte per riaffermare la propria identità, scaturisce quasi all’improvviso, un amore senile fatto di sguardi, lievi carezze e anche di un po’ di sesso. E allora subentra la ribellione, il desiderio di tornare nel mondo dei vivi, ma tutto ha un prezzo e quello che pagheranno il generoso Martino, la delicata Leda e il vissuto Oddo chiude in modo commovente un romanzo di straordinaria bellezza. Salvador ha una capacità di analisi psicologica non comune nel descrivere un mondo a cui non appartiene, a ricreare un’ambientazione che, vista dall’esterno, sembra impossibile, ma che risponde a verità. I piccoli dispetti quotidiani, l’attesa spasmodica della visita dei parenti la domenica, privilegio riservato a pochi che quasi si pavoneggiano con gli altri, e l’amarezza di essere, ma di non vivere sono tratteggiati con delicatezza, senza indulgere a pietismi che avrebbero straniato una narrazione diretta, senza fronzoli, non incline ad accurate descrizioni, ma comunque di rara efficacia. Più che leggerlo l’ho divorato, più che commuovermi mi sono indignato: Salvador non poteva scrivere in modo migliore il destino della maggior parte di noi.