Controllo e trasgressione in Michel Foucault
- Tipologia:
Tesi vecchio ordinamento
- Anno accademico:
2001/2002
- Relatore:
- Carlo Sini
- Correlatore:
- Elio Franzini
- Università:
Università degli Studi di Milano
- Facoltà:
Filosofia
- Corso:
Filosofia
- Cattedra:
Filosofia teoretica
- Lingua:
- Italiano
- Pagine:
- 212
- Formato:
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Descrizione Controllo e trasgressione in Michel Foucault
La "e” è una lettera scomoda. Impegnativa. Da una parte, pretende di legare nomi, concetti o sfere tematiche che spesso hanno ben poco in comune, nel tentativo di offrire una chiarificazione più organica del sapere. Dall'altra, effettua tagli stridenti, perché la virtù "doppia” dell'elenco sta anche e soprattutto nel ribadire la differenza di un insieme rispetto a un contesto. Parlare del controllo "e” della trasgressione in Michel Foucault, senza porre fra questi estremi neppur un riferimento al potere o al corpo, potrebbe indisporre qualche critico puntiglioso, che nella filosofia del maître francese ha posto la propria ragione di vita. Atteggiamento del tutto giustificabile, qualora valga il presupposto per cui sia il controllo che la trasgressione non siano fenomeni originali, bensì conseguenze connesse alla rottura di uno stato d'equilibrio. Ma la sfida lanciata da Foucault sta proprio qui: non fermarsi alle sistematizzazioni, smettere di credere alle suggestioni dell'ordine, abbandonarsi totalmente alla curiosità ("non già quella che cerca di assimilare ciò che conviene conoscere ma quella che consente di smarrire le proprie certezze. […] Vi sono momenti, nella vita, in cui la questione di sapere se si può pensare e vedere in modo diverso da quello in cui si pensa e si vede, è indispensabile per continuare a guardare e riflettere”; UP, pp. 13-14). Ciò che buona parte della filosofia contemporanea ha dimenticato, dopo la morte del filosofo di Poitiers, è stato il modo in cui si sono venuti a definire i concetti cardine del suo pensiero: per anni si è continuato a parlare del potere e delle sue evoluzioni, delle sue implicazioni nella scrittura dei corpi, come se tutto dovesse trovare spiegazione all'interno di questa sola, immensa e controversa categoria monistica. La tesi in esame muove, invece, dalla considerazione per cui il potere è innanzitutto un esercizio: esercizio di forze in quanto ordinamento e controllo di flussi. Il punto di partenza non individua un centro privilegiato ma affonda nel caos dell'indefinito, nel continuo sovrapporsi di correnti destrutturanti e contraddittorie, rispetto alle quali il corpo si viene a configurare come uno dei luoghi di attrito e di successiva interpretazione del reale. In sostanza, non si invita a un mutamento radicale di prospettiva (a un vedere altro), quanto piuttosto a una deviazione dalla sua traiettoria, a un vedere altrimenti: è cioè possibile parlare del controllo, prima del potere? Esiste una forma di controllo che determina il potere? E se sì, quale rapporto gioca la trasgressione nei confronti del controllo? Essa è implicita nella sua stessa affermazione o si dà, al contrario, come "alterità” irriducibile? L'intento seguito consiste nel rifrangere un assurto base della filosofia odierna, per cui da un potere di carattere disciplinare si è gradualmente passati a un potere più subdolo e invisibile, esercitato attraverso il controllo indiretto delle menti e dei corpi. Questa posizione viene vista come un superamento o, meglio, come un'evoluzione delle condizioni materiali rispetto alle quali si orientarono gli studi foucaultiani. Trascura, tuttavia, un elemento essenziale e a tratti inquietante, della riflessione maturata dal maestro francese: chi, di fatto, esercita un potere sull'uomo? Chiaro è che se viene a mancare un referente dell'azione, anche le tradizionali tesi riguardanti l'esercizio del potere iniziano a vacillare. Se non è possibile attribuire alla volontà di un soggetto il fine del controllo, in che modo esso troverà mai giustificazione? Ogni individuo, potenzialmente, può oggi essere controllato. L'invasività delle nuove tecnologie ha raggiunto livelli di penetrazione nel reale inimmaginabili, cresciuti di pari passo allo sviluppo della comunicazione. Più si comunica, più si parla di sé e degli altri, più è possibile conoscere ciò che un tempo rimaneva celato negli anfratti della soggettività. Ma se chi controlla può a sua volta essere controllato, chi controllerà "chi”? La presa di coscienza, per cui nessuno è in grado di isolarsi in una cabina di regia, attraverso la quale organizzare il flusso della vita propria e altrui, fa vacillare la fiducia nella razionalità dell'uomo, al pari di quanto avvenne dopo l'annuncio della morte di Dio. Tolto Dio, l'uomo è tornato a essere più che mai "faber fortunae suae”. Ma se ora non vi è più neppure un barlume di razionalità dietro l'esercizio del potere, una volontà di potenza, che senso ha il controllo? Perché si controlla, se il potere non ha giustificazione alcuna nella volontà di un soggetto? La stessa trasgressione di questo controllo "senza ragione” appare illogica, una questione di gusto: dà adito a forme ibride di rivolta, a paradossi, a congiunzioni disgiuntive e, dunque, squilibrate, rispetto alle quali i tradizionali codici di lettura binaria si rivelano insufficienti nell'offrire una delucidazione.