Società e famiglia nel cinema di Pietro Germi di Giuseppe Moscatt

Società e famiglia nel cinema di Pietro Germi

Tipologia:

Tesi di Laurea di secondo livello / magistrale

Anno accademico:

2009/2010

Relatore:
Fernando Gioviale
Corso:

Storia

Cattedra:

Storia del cinema

Lingua:
Italiano
Pagine:
174
Formato:
Pdf
Protezione:
DRM Adobe
Dimensione:
1.19 Mb

Descrizione Società e famiglia nel cinema di Pietro Germi

La ricerca si sviluppa su un filo logico che l’autore ha voluto rinvenire nell’intensa produzione di Pietro Germi, vale a dire i temi centrali della famiglia e del modello storico di società, poste come i punti di riferimento cui guardare per spiegare la nostra vita. In altri termini i quattro periodi della Sua produzione, corrispondenti ai quattro decenni della Sua vita artistica, 1946-1974, corrispondonoalle oscillazioni positive e negative della società italiana del secolo scorso, di cui la famigliacostituisce il valore simbolo. In particolare, la tesi si divide in quattro capitoli, riguardanti rispettivamente la sua biografia e un cenno delle sue principali opere, sottolineandosi la peculiareevoluzione della Sua filmografia, passata da un iniziale approccio al neorealismo, poi all’intimismosociale, fino a regnare nell’età della commedia all’italiana, oscillando dalla satira magistrale deglianni del boom economico, fino alla decadenza morale e alla nostalgia della vita di fronte alla morte. Dopo quasi due decenni dalla Sua morte trascorsi in un silenzio colposo sulla Sua singolare ecorriva programmazione, negli anni ’90 e fino al 2009 un leggero, ma costante e progressivo revival. Lo ha interessato, anche alla luce della revisione tecnica che ha portelo alla riscoperta dei Suoi film. E pertanto, il capitolo 2° si è articolato sulle tematiche sociali, rispettando le quattro fasidello sviluppo del suo messaggio, facilmente attribuibili alla storia culturale ed economica del Nostro Paese nel dopoguerra: In Nome della legge (1949) in pieno Neorealismo, Il ferroviere(1956) e un Maledetto imbroglio (1959), al momento della ricostruzione ai prodromi della crescitaeconomica; Divorzio all’italiana (1961), ovvero il crollo della società contadina sotto i colpi delmartello borghese e industriale di Signore e Signori (1965), vale a dire una straordinaria commediadei caratteri umani, condita con acidità sorprendente, visti in terza persona degna del miglioreBalzac. Ma è nel terzo capitolo che la nostra analisi svela il cuore del pensiero di Germi: il percorsoquarantennale del cammino etico sulla famiglia, dall’epica della comunità in viaggio - il Camminodella speranza (1950), culmine e caduta del motivo neoralista; l’Uomo di paglia (1957), drammaverista e intimista su un tema, eterno come quello dell’adulterio, vissuto tragicamente in ambientepopolare; fino al satirico psicodramma l’Immorale del 1967. Films che ci offrono il fulcro criticodella Sua coscienza, il ruolo della famiglia nella società che cambiava. Alla fine della sua parabola, Germi - o quello che ci appare attraverso le sue storie - enuncia il sorriso amaro sul suo anticoideale, la famiglia tradizionale, la cui morte è cantata funanbolicamente in Alfredo Alfredo del1972, appena due anni prima di morire, il Suo canto del cigno, ovvero l’approdo a una visioneonirica della realtà, fra Bunuel e Dürrenmatt. Conclude lo studio, la ricerca dell’attualità di PietroGermi, partendo dalla Sua più profonda, ma purtroppo incompiuta opera Amici miei, ideata esceneggiata ma non girata, lasciata in eredità di regia all’altro grande maestro da poco mancato, Mario Monicelli. Era il 1974, l’anno della crisi petrolifera, delle imprese banditesche diVallanzasca, dell’imminente sorpasso del PCI sulla DC, insomma della prima e profonda crisidell’economia capitalista nel Nostro Paese. Amicizia, nostalgia del passato, lo scherzo atroce esenso di morte, non più cristiano, ma di fine dell’oggi e per sempre? Così fu detto da Kezich neglianni ’70, che nel rimarcarne il pessimismo cosmico, pur cogliendo lo spirito ironico e caustico sulmodello di Shaw e Wilde, pose una pietra tombale su questo regista atipico e moralista. Asdoganare Germi ci volle Mario Sesti negli anni ’90 che illuminò lo spirito critico e men che maireazionario, giammai moralista, ma religioso di valori eterni, malgrado la patina di fustigatore senzaideali come pretendeva la critica cattolica e comunista dell’epoca, che lo interpretò come campionedella conservazione, degenerando politicamente nel mero etichettamento dell’Autore tra i critici dacaffè. E invece, la recentissima riscoperta del Germi eticamente dolente nel vedere il crollo moraledi una generazione senza alcuna alternativa, in cui era piombata la società del consumismo e nellacrisi del valore della persona. Era una poetica esteticamente intrisa del genere letterario della satira. Interpretazione che ha riaperto il discorso sul ruolo di Germi sia nella storia del cinema italiano chein quello mondiale. Si potrà arguire come Germi abbia una Sua religiosità peculiare, anzi una Sua fede fuori dagli schemi convenzionali che si rivela nelle ultime e più recenti testimonianze che Eglidettò in un intervista ad un giornalista americano poco prima di morire e che poi sono riemersequalche anno fa quando è stata divulgata una Sua sceneggiatura sulla vita di Cristo che dà di lui unaluce nuova di fede interiormente sofferta.

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