Per la storia del problema dell'amore nel Medioevo
- Editore:
La Finestra Editrice
- Collana:
- Saggi
- A cura di:
- M. Albertazzi
- Data di Pubblicazione:
- 2003
- EAN:
9788888097411
- ISBN:
8888097414
- Pagine:
- 144
- Formato:
- brossura
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Lettura-5 gennaio 2009
Nel 1908 Rousselot non impone un modello univoco dell'amore, ma una bipartizione realistica: amore fisico e amore estatico. D'ora in poi, il «problema dell'amore» medievale aderirà a tutto il Novecento, con giganti e fraintendimenti giganteschi (Valli, Köhler, Bousquet, Lewis, Weil, Moretti-Costanzi, Rougemont, Nelli, Guénon, Pulega, Peter Russell): non è un caso, perché sull'amore - che è una potenza vincolante e incontrollabile - si giocano questioni più che medievali, come il potere e la libertà. Apertamente o no, le domande collegate all'amore saranno altre: chi comanda a chi? perché comanda? quale autonomia spetta al servo? il servizio è dolce, amaro, dolceamaro? è vita o morte? Apertamente o no, il problema del dominio implica l'origine e il fine della parola, non solo in poesia. Nel Novecento dei giganti, Pasolini filma a Salò il non plus ultra di questa tensione ininterrotta: l'amore è solo sesso, il sesso è sempre violenza, il fascista è sempre libero (e anarchico) perché è perfettamente brutale. Essendo perfettamente libero e brutale, il fascista di Salò conosce un altro lusso sadico: godere delle parole, esattamente come gode dell'orgia e della strage. Il potere promuove l'enfasi fisica a scapito dell'estasi. Perché il potere - compreso quello del consumismo globale - sarebbe nullo, se non ci fossero molti corpi: ai quali il potere - che in nessun modo è cristiano - si oppone, mentre l'Agnello di Dio accetta di essere corpo, vittima del sadismo, olocausto, cibo. Rousselot sa, perché le sue fonti filosofiche lo sanno, che «l'amour est tout à la fois extrèmement violent et extrèmement libre: libre, parce qu'on ne saurait lui trouver d'autre raison que lui-même, indépendent qu'il est des appétits naturels; violent, parce qu'il va à l'encontre de ces appétits, qu'il les tyrannise, qu'il semble ne pouvoir être assouvi que par la destruction du sujet qui aime. Etant tel, il n'a pas d'autre but que lui-même, on lui sacrifie tout dans l'homme, jusqu'au bonheur et jusqu'à la raison». La normalità dell'amore - fonte della parola - è la doppiezza: dunque la parola può essere multipla, purché sia decifrabile e riconducibile ad un senso vero. Il nostro archetipo lirico è sia il vangelo di una vittima sia la glorificazione di un eletto: Dante è deturpato fisicamente da Amore («a molti amici pesava della mia vista»: Vita nova, 2,3 Gorni), ma lo stesso Amore ne fa estaticamente il suo poeta, azzerando il resto («Pensa di benedicere lo dì che io ti presi, però che tu lo dêi fare»: 15,2). Stilisticamente, le «tristi penne» di Cavalcanti possono scrivere sia una lode sia un insulto comico, perché la normalità è questa, per tutti i poeti. Dunque: due condizioni, contemporanee, e due stili contemporanei, simmetrici alla doppia condizione. Ieri e oggi, nelle operazioni del dire l'obbligo si unisce alla libertà, e il «problema dell'amore» ci vincola tutti, sempre. (massimo sannelli)