Il silenzio dell'innocenza di Somaly Mam edito da TEA

Il silenzio dell'innocenza

Editore:

TEA

Collana:
Esperienze
Traduttore:
Sinigaglia S.
Data di Pubblicazione:
22 ottobre 2009
EAN:

9788850220335

ISBN:

8850220332

Pagine:
176
Formato:
brossura
Argomenti:
Problemi etici: prostituzione e industria del sesso, Gruppi sociali in base all'età: bambini
Acquistabile con la

Descrizione Il silenzio dell'innocenza

Mi chiamo Somaly; o, per lo meno, così mi chiamo adesso. Come tutti, in Cambogia, di nomi ne ho avuti parecchi. Un nome deriva da una scelta provvisoria, lo si cambia come si cambia vita se la sfortuna si accanisce contro di noi, per esempio. Ma non mi ricordo bene dei nomi che ho avuto quando ero piccola. Del resto, non ricordo quasi niente della mia prima infanzia; non so granché delle mie origini e ho ricostruito a posteriori, da vaghi ricordi, quel minimo di storia che sto per raccontarvi... Nata nella poverissima campagna cambogiana, dove i genitori arrivano a vendere i propri figli all'età di cinque o sei anni per pochi soldi, Somaly Mam, oggi trentacinquenne, ha vissuto parte dell'adolescenza in un bordello, in condizione di schiavitù. Violentata, picchiata e torturata, è riuscita a sottrarsi al suo destino e insieme al marito Pierre Legros ha creato nel 1997 un'associazione no-profit, la AFESIP (Agir pour les femmes en situation précaire) che dalla Cambogia, dove ha la sede principale, si è rapidamente sviluppata in Tailandia, Vietnam e Laos. Nonostante abbia subito numerose minacce, finora Somaly Mam è riuscita a salvare dalla prostituzione e dalla schiavitù migliaia di ragazze. "Il silenzio dell'innocenza" racconta la sua storia, la storia di migliaia di persone come lei, il dolore e la rabbia, ma anche la speranza che il mondo possa cambiare.

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2 di 5 su 1 recensione

Il silenzio dell'innocenzaDi E. massimo-6 ottobre 2010

Non discuto l'esperienza umana, così atrocemente lontana dagli standard occidentali da suscitare solo un allibito mutismo. È la narrazione dei fatti che, secondo me, non va: a furia di ripetere sempre le stesse cose, con le stesse parole, l'autrice mina la credibilità della sua storia. Vivere in un bordello deve essere atroce, ma se parla di “stupro” anche nei rapporti con il marito o con i clienti che lei stessa adescava, probabilmente dà alla parola un significato diverso da quello che intendo io. Le sofferenze della povertà cambogiana devono essere inimmaginabili, ma mi resta il dubbio che ci sia qualche esagerazione quando, raccontando del disagio causato da certe scarpe con il tacco nuove indossate in una sera di gala, si esprime così:” Quando le calzai, ebbi dei dolori terribili, mi sanguinavano i piedi” (p.86). E poi il marito brontolone e anaffettivo, la suocera impicciona, le autorità scostanti, il nonno violento, le colleghe invidiose, il cibo francese orribile, quello cambogiano immangiabile...non è che, in fondo in fondo, sia un po' intollerante, questa Somaly Mam?