I saggi lirici di Delio Tessa

I versi in milanese di Delio Tessa (1886-1939) hanno conosciuto sorte pressoché opposta a quelli di Trilussa, senza dubbio il poeta italiano del Novecento più popolare e meno amato dalla critica. Quella stessa critica, però, sinora ha più lodato genericamente che letto e analizzato i «saggi lirici»: un’annosa lacuna cui la presente monografia intende porre rimedio, senza tralasciare alcun piano d’indagine. A caratterizzare la parca attività versificatoria tessiana, per lo più disposta in due periodi lontani tra loro (1909-1912 e 1929-1936), sono l’ostinata mimesi dell’oralità e la ricerca di una «musica verbale» fondata sulla wagneriana tecnica del leitmotiv. Di qui si sviluppa un singolare espressionismo, sul piano metrico riflesso nell’approdo a una sincopata polimetria a sequenze. Protagonista dei poemetti è un «avvocatt», che sogna di liberarsi della propria identità sociale; le sue baudelairiane passeggiate – contraddistinte da notevoli effetti di simultaneità – e gli incontri con diversi ‘compagni di basto’ (bestie, contadini, prostitute) non valgono però a sfuggire alle catene del produrre: e né la chiesa né la campagna si offrono come porti di quiete. La pazzia della ragione, ovvero lo choc della modernità urbana, risulta ineludibile per Tessa, il quale negli anni Trenta perviene a un antifascismo liberale, dai forti tratti conservatori, sgomento e affascinato a un tempo dall’ascesa alla ribalta storica delle masse. Completano il lavoro un’appendice, che raccoglie tra l’altro alcune importanti prose disperse, e un’esaustiva bibliografia.