Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell'Italia di una volta di Andrea Pini edito da Il Saggiatore
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Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell'Italia di una volta

Collana:
La cultura
Data di Pubblicazione:
24 marzo 2011
EAN:

9788842816546

ISBN:

884281654X

Pagine:
384
Formato:
brossura
Argomento:
Discriminazione sociale
Disponibile anche in E-Book
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Descrizione Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell'Italia di una volta

Stigmatizzati e sbattuti sulle prime pagine dei giornali, scherniti, dileggiati e picchiati, per disprezzo o per il semplice gusto della sopraffazione, spinti nei cellulari della polizia e trasferiti in commissariato per la schedatura. Questo e molto altro poteva accadere agli omosessuali in Italia, osteggiati da un senso comune diffuso, che veniva incoraggiato dalla morale cattolica e non contrastato da quella "progressista" di sinistra. "Quando eravamo froci" ci riconduce agli anni della dolce vita, quando la vita per i gay era tutt'altro che gaia. Clandestini, si cercavano, si riconoscevano da sguardi rapidi e furtivi, si incontravano, abbordavano i "maschi" in libera uscita dalla caserma e dalla famiglia, si accoppiavano furiosamente nei vespasiani o nelle file più appartate dei cinema rionali. Queste erano le condizioni in cui, fino agli anni sessanta, gli omosessuali vivevano e praticavano la loro sessualità, riuscendo persino a conquistarsi limitati spazi di felicità. Prima che, con l'apertura di spiragli di libertà e con l'embrionale rivendicazione dei propri diritti, si costituisse il futuro movimento gay. Andrea Pini ricostruisce con foto d'epoca e con interviste a protagonisti e testimoni diretti un periodo storico della condizione omosessuale, e insieme denuncia l'atteggiamento cinico e oppressivo della società circostante. Prefazione di Natalia Aspesi.

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4 di 5 su 1 recensione

Quando eravamo frociDi R. Grazia-15 agosto 2011

Sorprendenti alcuni risvolti che is ricavano da queste interviste, sopratutto da quelle di chi sai trovò ad essere omosessuale sotto i fascismi, molti degli anziani uomini gay che vi raccontano le proprie esperienze mostrano una viva nostalgia per anni nei quali pure si dovevano nascondere e mimetizzare per non incappare nella repressione poliziesca o sanitaria o nella completa disistima da parte della società: il sesso allora era molto copioso, piacevole, lieve, senza complicazioni, bastava un giuoco di sguardi per sedurre, la violenza si riduceva a qualche scippo e quella più grave appariva del tutto eccezionale. Parecchi degli intervistati si sentono anche a disagio di fronte alla formazione d'un movimento gay, ai Gay Pride, a richieste politiche come l'estensione del matrimonio alla persone dello stesso sesso; d'altra parte, non per tutti è così, e i cambiamenti sociali intervenuti negli ultimi decenni hanno condotto alcuni di loro all'adozione d'un tipo di vita diverso, basato sul rapporto fisso di coppia e non sulla semplice ricerca di sesso effimero. Qualcuno, poi, ha invece accolto con favore le novità, o addirittura, com'è per esempio il caso di Corrado Levi o, in modo diverso, di Maurizio Bellotti, ne è stato anche artefice. Il campione scelto per le interviste infatti è molto vario: ci sono persone famose, come appunto Bellotti o Levi, Paolo Poli, Gilberto Severini, Giò Stajano, Gian Piero Bona, Aldo Braibanti, Vinicio Diamanti, Dominot, Mario Sigfrido Metalli, Elio Pecora, Riccardo Peloso, e personaggi perlomeno a me finora sconosciuti; due hanno voluto mantenere l'anonimato. Le storie che raccontano hanno tutte un enorme valore: se alcune sono narrate con particolare brio, come quelle di Bona e Poli, piene d'episodi pittoreschi e divertenti, ognuna illumina un aspetto particolare del modo in cui un ragazzo di quaranta o cinquant'anni fa scopriva e cominciava ad affrontare il suo orientamento sessuale; in mancanza d'una storiografia "ufficiale", sono proprio queste voci, queste memorie parziali e frastagliate gli unici testimoni che rimangono d'un mondo allora messo ai margini e ridotto al silenzio, ma ricchissimo di storie e brulicante di vita come un oceano sotto una superficie piatta. Come attestano i tre capitoli introduttivi scritti da Andra Pini, infatti, la cultura ufficiale dell'epoca si occupava di omosessualità quasi solo in senso criminalizzante: a parte i ricordi delle persone gay, le fonti principali per conoscere il fenomeno restano le carte processuali e la cronaca nera. Tra i pochi a parlare diffusamente di omosessualità negli anni Cinquanta e Sessanta, curiosamente, in effetti erano alcuni periodici di destra (Pini ha studiato soprattutto le annate del Borghese e dello Specchio), ovviamente in tono denigratorio e con un tipico frasario omofobico: "squallidi ambienti", "turpe vizio", "i capovolti"; la polemica, che si soffermava ghiottamente su retate della buoncostume contro travestiti e innocenti festicciole casalinghe (la cui portata era ingigantita ad arte, come accadde a Brescia per i famigerati "balletti verdi"), magari con tanto di corredo fotografico, era condotta con tono irridente e sarcastico (si trattava di riviste ultraconservatrici, ma non bigotte), e risultava spesso tanto ricca di particolari, che molti gay del tempo si servivano proprio di queste tirate omofobiche per ottenere qualche notizia su d'un mondo altrimenti conoscibile solo tramite il passaparola. Una vera e propria eterogenesi dei fini, che per esempio consentì ad un Maurizio Bellotti ancora adolescente d'entrare in contatto con la rivista francese Arcadie e, più modestamente, permetteva a molti omosessuali di scovare i luoghi più o meno clandestini dove cercare un po' di sesso e uscire per un attimo dalla solitudine.