La morte come pena. Saggio sulla violenza legale di Italo Mereu edito da Donzelli
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La morte come pena. Saggio sulla violenza legale

Editore:

Donzelli

Collana:
Virgola
Edizione:
3
Data di Pubblicazione:
9 ottobre 2007
EAN:

9788860361295

ISBN:

886036129X

Formato:
brossura
Argomenti:
Problemi etici: pena di morte, Giurisprudenza e filosofia del diritto
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Descrizione La morte come pena. Saggio sulla violenza legale

Quali sono i meccanismi che hanno portato a legittimare l'idea di usare la morte come "pena"? Si può pensare di uccidere per fare giustizia? Questo libro nasce con un orientamento molto preciso: non tanto ricostruire la storia della pena di morte, quanto guardare alla morte come pena. Non è un gioco di parole. Accogliere il primo presupposto significa dare per indiscutibile la bestialità umana e accettare l'uccisione "giudiziaria" di una persona come un fatto naturale e ovvio, che è sempre esistito, del cui svolgimento si narra la storia, cominciando dagli antichi egizi o dagli assiro-babilonesi e finendo ai giorni nostri. Guardare dal secondo punto di vista significa constatare come non sempre la pena di morte sia stata usata come pena, e individuare quando e perché un mezzo di tale brutalità sia stato utilizzato dal legislatore, esaltato dagli intellettuali, applaudito dalla folla, sanzionato, presentato e sentito come uno strumento consono alla civiltà e alla religiosità di un popolo. Visto così, il problema non è più prendere atto della bestialità umana, ma cercare di capire perché l'istinto omicida è stato sublimato in istituto giuridico e come un momento impulsivo e incontrollabile dell'agire umano sia stato trasformato in azione legale, razionalmente predisposta, regolata da precise norme e sanzionata con una sentenza.

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4 di 5 su 1 recensione

La morte come penaDi g. andrea-10 agosto 2011

Bella escursione di un paio di secoli di diritto penale, dalla pena di morte al Beccaria, si pensa di essere tutti informati a grandi linee sulla storia della pena di morte, della sua legalizzazione nei codici e delle alterne vicende che hanno portato alla sua abolizione in molti paesi; ed invece il saggio di Mereu fa scoprire particolari insospettabili, il più macroscopico dei quali è quello che sfata il mito di Cesare Beccaria innovatore e riformista. In realtà, a leggere attentamente l'arcifamoso Dei delitti e delle pene, si scopre che l'ergastolo (pena sostitutiva di quella capitale) non era da intendersi come una miglioria umanitaria per il condannato, bensì come un aggravio di sofferenze lunghe una vita, che con l'umanitarismo avevano poco a che spartire. La storia della pena di morte è una storia interessante e controversa, spesso sorprendente e ripugnante, soprattutto quando parla del ruolo della Chiesa nella legittimazione della pena di morte. Un ruolo antico, che risale a quando per l'influenza del diritto romano e delle Sacre Scritture il sistema del guidrigildo fu sostituito con la pena di morte. Un ruolo che definirei anche assurdo, perché dal punto di vista ideologico la Chiesa cattolica non sarebbe potuta mai stare dalla parte della pena capitale, fin dal quinto comandamento. Eppure, dall'Editto di Milano in poi, l'atteggiamento della Chiesa perde i principi di amore e carità e assume quello dell'intolleranza, fino a culminare con la fondazione del tribunale dell'Inquisizione, passando attraverso due teorici spietati come Sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino, entrambi ideologi della pena di morte per motivi di utilità. Non sono da meno i calvinisti, anch'essi sfegatati fautori delle esecuzioni capitali. Mereu ci accompagna passo passo attraverso ogni fase del dibattito, con grande ricchezza di fonti e citazioni, senza tralasciare nessun particolare e raccontando di tutte le voci abolizioniste o reazionarie. Particolarmente curato e dettagliato il capitolo che tratta delle alterne vicende del neonato Regno d'Italia tra fazioni opposte che si combatterono strenuamente in modo anche piuttosto controverso, facendo comunque sempre ricorso com'è costume italico a tutt'oggi all'istituzione di apposite commissioni di studiosi e accademici che potessero giungere ad una soluzione ragionata. Pochi sanno che l'Italia fu una delle prime nazioni ad abolire la pena di morte (e il Granducato di Toscana ne fu l'illuminato precursore con Leopoldo II) , anche se il ventennio fascista e il famigerato codice Rocco la riportarono alla legalità. Ci vollero poi i padri dell'oggidì tanto vituperata Costituzione a risistemare tutto com'era prima della dittatura mussoliniana. La cosa triste è che durante questi nostri giorni così travagliati si sente spesso invocare la pena di morte da parte dell'opinione pubblica, per delitti sicuramente atroci e molto spesso inutilmente raccapriccianti su vittime innocenti e inermi (bambini e adolescenti, per esempio) , dimenticandosi però dell'assurdità sia laica che religiosa dell'omicidio di stato. Togliere la vita a un colpevole nell'ottica dell'occhio per occhio ci riporta alla clava e alle caverne, mentre una vera riabilitazione (sottolineo vera, non quella schifezza che fingono di attuare nelle prigioni di quasi tutto il pianeta) dovrebbe segnare un progresso della civiltà e della morale. E invece sembra si sia avviati a ritornare e Mereu lo afferma a chiare lettere alla vecchia formula che ha sempre guidato la violenza legale: o consenso o repressione. Nulla di cui gioire, qualunque cosa dicano i giustizialisti.