Lettere dal carcere di Antonio Gramsci edito da Einaudi
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Lettere dal carcere

Editore:

Einaudi

Collana:
I millenni
A cura di:
F. Giasi
Data di Pubblicazione:
13 Ottobre 2020
EAN:

9788806245405

ISBN:

8806245406

Pagine:
1257
Formato:
rilegato
Argomenti:
Scienza e teoria politica, Marxismo e Comunismo
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Descrizione Lettere dal carcere

Lettere dal carcere è un libro unico. Forse interminabile. E un libro postumo, la cui prima edizione ho sotto mano, un libro di famiglia, come lo è per non poche famiglie italiane. La sua storia, come spiega Francesco Giasi nell'introduzione, inizia il giorno dopo la morte del suo autore, avvenuta a Roma il 27 aprile 1937. La prima edizione contava 218 lettere. Qui sono 511, di cui 12 inedite. E la storia personalissima di un pensiero conteso fra logiche di apparato, libertà di visione, dolore e tenacia di impegno. Le lettere corrono parallele alla stesura dei Quaderni del carcere, che rappresentano a loro volta una delle vette del pensiero saggistico italiano del Novecento, tradotti e studiati in tutto il mondo. Ne costituiscono il parallelo esistenziale e, forse, la premessa e la condizione. In tutte le sue edizioni, per merito dei o nonostante i suoi curatori, Lettere dal carcere è sempre apparso al suo lettore non come un libro-archivio, ma come un'opera compiuta e autonoma, perché autoritratto di un pensiero vivente nel suo divenire, nel suo dispiegarsi, ma anche nella sua novità radicale. L'ultima lettera della prima edizione (qui 442) era diretta al figlio Delio: «... mi sento un po' stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti piú uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti piú di ogni altra cosa. Ma è cosí?». Con un album fotografico.

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5 di 5 su 2 recensioni

Un carattere per gli italianiDi s. pier-16 Agosto 2011

La figura di Gramsci ha influenzato potentemente le vicende culturali del nostro paese - e negli ultimi decenni il pensiero gramsciano ha avuto uno sviluppo notevole in tutto il mondo, come il successo dei "Cultural Studies" attesta. Le lettere rappresentano un'ottima introduzione alla figura del dirignete comunista: non solo perché in questo testo emerge l'umanità di Gramsci (Croce scrisse "è uno di noi") ma anche per la possibilità di seguire il ritmo del pensiero gramsciano in alcuni punti chiave che poi Gramsci affronterà, con maggior respiro, nei "Quaderni".

Lo studio come passione civileDi d. domenico maurizio-6 Luglio 2010

Si può leggere un epistolario per vari motivi. Ad esempio per appagare la curiosità sul lato umano dell'autore. E nel nostro caso possono risultare interessanti alcuni elementi: il rapporto molto confidenziale a volte anche duro con la cognata Tania, la tenerezza verso i bambini - Delio e Giuliano - l'esaurimento nervoso in carcere. Ma dal complesso delle lettere emergono anche tratti della personalità dell'autore che sono parte integrante con il suo pensiero. In carcere Gramsci leggeva in continuazione libri - 89 in tre mesi - , riviste, giornali e sosteneva di voler realizzare un lavoro. E questo lavoro non era solo un'occasione per tenersi occupato; era anzi un'attività funzionale all'impegno civile. Sia nello studio della storia che nella lettura dei romanzi d'appendice Gramsci denota la curiosità onnivora di chi vuole intrecciare in una riflessione compiuta ogni manifestazione della vita. C'è in questo atteggiamento non solo la tenacia intellettuale di un prigioniero ma un vero e proprio rigore morale: lo studio è un dovere per tutti. Così l'intellettuale gramsciano nella formulazione di "filosofo democratico" (un filosofo che punta a trasformare la cultura della comunità in cui vive) non solo viene definito nei Quaderni ma interpretato concretamente nella condotta di vita seguita in carcere. Mi viene da pensare così a certi intellettuali moderni che hanno smarrito il senso del loro ruolo e si limitano a interventi televisivi estemporanei privi di un retroterra concettuale organico; mi vengono in mente quei laureati che si disabituano presto allo studio e all'approfondimento e, anzi, sovente aderiscono acriticamente ai peggiori luoghi comuni; mi viene in mente una certa sinistra che discute incessantemente di identità o di altre questioni nominalistiche senza affrontare una riflessione sulla sua funzione storica. Certo, l'impegno non può essere vissuto in maniera totalizzante e nell'intellettuale gramsciano si rinvengono anche i tratti di una moralità "bolscevica", quella di chi è investito di una vera e propria missione. Ma, mi domando se d'altra parte si possa arrivare a concepire - come talvolta avviene - una campagna elettorale senza programmi o una militanza senza dibattito.