Trama La festa del ritorno
Un figlio e un padre. Il primo dà voce alla meraviglia di crescere in una terra piena di profumi e sapori, ma anche allo struggimento e alla rabbia per la lontananza del padre; il secondo racconta la sua vita di emigrante, sospesa tra partenze e ritorni. Tutti e due hanno un segreto da nascondere. Saranno le parole nate intorno al grande fuoco di Natale a suggellare un disvelamento del padre al figlio e del figlio al padre, in un passaggio del testimone tra generazioni che ha il respiro epico di una grande favola iniziatica. E proprio come quel fuoco, la lingua ricchissima che Abate intesse, mescolando termini arbëreshë, dialetto, italiano, crepita in ogni pagina e riverbera emozioni di grande potenza. Vincitore dei premi Napoli e Corrado Alvaro e del premio Selezione Campiello, "La festa del ritorno" è insieme un'indimenticabile storia d'amore, un racconto di formazione e una preziosa testimonianza sulla nostra emigrazione. In queste pagine Carmine Abate porta la temperatura della narrazione e quella della sua lingua a un punto di perfetta fusione, regalandoci un romanzo magico, sospeso tra il realismo di vite scandagliate nella loro quotidiana fatica e l'incanto che nasce dallo sguardo di un bambino.
Recensioni degli utenti
La festa del ritorno-21 luglio 2011
E' un bene che esistano simili scrittori, ignorati dalla critica ma passionali e godibili. Uno di questi scrittori, diventati rari da noi, che sa raccontare e sa farsi capire. Siamo a Hora, un paesino della Calabria nei pressi di Crotone, che già abbiamo incontrato ne "La moto di Scanderbeg" e c'è il tradizionale grande fuoco che si accende sul sagrato della chiesa la notte di Natale, che abbiamo visto in "Tra i due mari", e Tullio, il padre di Marco l'io narrante è il vecchio che racconta una storia, al posto di Giorgio Bellusci. Frequenti vocaboli del sud e parole nella lingua italo-albanese l'arb1105; reshe ("non è un dialetto, è una lingua.") sono la novità linguistica di questo romanzo rispetto ai due precedenti, dei quali conserva i motivi ispiratori: la figura di un avo, spesso del padre, da cui parte il tutto, e il motivo del viaggio, espressione di malinconia e di speranza ad un tempo. Per questo, non mi stancherò mai di trovare delle affinità tra Abate e Sgorlon. Del resto, tornate a leggere lo stupendo incipit de "Il trono di legno": "Da ragazzo vissi sempre con la testa piena di vento" e confrontatelo con questa frase di Abate, riferita a Marco, l'io narrante: "Sentivo la testa leggera, un palloncino pieno di vento."