«Bonae fidei interpretatio». Ricerche sull'interpretazione di buona fede fra esperienza romana e tradizione romanistica

- L'indagine mira, in primo luogo, a definire i termini entro cui nell'esperienza giuridica romana era configurabile una interpretatio negoziale orientata dalla buona fede, approfondendo in particolare l'operatività di quest'ultima nell'individuazione e valorizzazione dell'effettivo intento dei contraenti, nella salvaguardia della sinallagmaticità contrattuale, nonché nel rapporto
- delicatissimo, e nient'affatto risolvibile in una reciproca fungibilità
- con l'aequitas.La seconda parte della monografia è poi dedicata alle forme e le prospettive assunte dalla rielaborazione (medievale e soprattutto) moderna dei materiali giuridici antichi, soffermandosi sul riconoscimento a ogni contratto
- fra Giusnaturalismo e Pandettistica
- della natura di buona fede, con tutte le conseguenze che ciò comporta a livello di ermeneutica negoziale (anche in rapporto, di nuovo, ai contestuali richiami all'equità). Conseguenze di cui si è quindi tentato, nell'ultima parte della ricerca, di porre in luce le discontinuità, ma soprattutto le persistenti ripercussioni, rispetto agli attuali orientamenti che dottrina e giurisprudenza hanno assunto rispetto alla disposizione (l'art. 1366 c.c.) che ormai consacra
- o dovrebbe consacrare
- il principio di buona fede come fondamentale parametro dell'interpretazione del contratto.Sommario:Introduzione.
- I. Al di là di una corrispondenza terminologica.
- II. Bona fides e valutazione dell'‘id quod actum est' da Giavoleno a Ulpiano.
- III. Ulteriori implicazioni ermeneutiche della bona fides.
- IV. La rielaborazione dei materiali romani sino all'età delle codificazioni.
- V. Il dibattito fra ottocento e novecento.
- VI. Contributo per una rilettura dell'art. 1366 del codice civile vigente.
- Indice delle fonti.
- Indice degli autori.