Le privatizzazioni in Italia di Corrado Spriveri

Le privatizzazioni in Italia

Tipologia:

Tesi di Laurea di secondo livello / magistrale

Anno accademico:

2007/2008

Relatore:
S. Licciardello
Correlatore:
G. Ludica
Corso:

Scienze delle pubbliche amministrazioni

Cattedra:

Diritto pubblico dell'economia

Lingua:
Italiano
Formato:
Pdf
Protezione:
DRM Adobe
Dimensione:
1.56 Mb

Descrizione Le privatizzazioni in Italia

La tesi analizza il processo di privatizzazione, partendo dalla fine dell’Ottocento. Sono prese in esame le prime forme di privatizzazione, tra cui la privatizzazione delle ferrovie e, nella seconda parte, dell’Ottocento, la liquidazione dell’asse ecclesiastico. Con la grande crisi del 1929, in Italia la situazione era particolarmente critica, in quanto le tre maggiori banche, la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano e il Banco di Roma, avevano investito in misura ingente nelle principali imprese industriali, assumendo il ruolo di azionisti. Per evitare la paralisi, il Governo impose alle banche di cedere azioni allo Stato, il quale così immise nel mercato quella liquidità necessaria per rifinanziare il sistema economico, sicché improvvisamente lo Stato, attraverso un ente appositamente istituito, l’IRI - “Istituto Ricostruzione Industriale” - è divenuto azionista di imprese strategiche per l’economia nazionale. Le fondamenta dello Stato “imprenditore” nascono, quindi, con l’IRI come “ente di salvataggio”, poi trasformato nel 1937 in ente di gestione permanente ma nel 1956 nasce il Ministero delle Partecipazioni Statali; pertanto, ai due livelli di gestione e produzione se ne aggiunge un altro, il livello politico. A partire dagli anni Settanta del Novecento, però, i chiari segni dell’inefficienza di buona parte delle imprese pubbliche hanno portato lo Stato a recedere progressivamente da molti settori dell’economia, avviando negli anni Novanta un processo di privatizzazione senza precedenti nella storia. L’origine del fenomeno è riconducibile a motivi di carattere “ideologico–sociale”, indirizzati a ridisegnare il rapporto tra Stato e cittadini, favorire gli ideali di libero mercato e ridurre l’interferenza statale nella gestione dell’economia, a “ragioni di natura prevalentemente economica”, consistenti nella necessità di ridurre l’apparato statale e la spesa pubblica, porre un freno all’eccesso di politicizzazione ed eliminare le inefficienze del settore pubblico delle imprese. Il primo passo verso la privatizzazione fu quello di trasformare in società per azioni gli enti di gestione delle partecipazioni statali, gli altri enti pubblici economici e le aziende autonome dello Stato, considerando, inoltre, la possibilità di una cessione anche maggioritaria del capitale azionario. La prima applicazione di questo disegno è stata realizzata in ambito creditizio, con la cosiddetta “legge Amato”, rinviando l’inizio del procedimento di privatizzazione al 1993 per le altre imprese pubbliche. Distinguiamo, pertanto, due forme di privatizzazione: la prima forma, cosiddetta “privatizzazione sostanziale”, si ha nel caso in cui si concretizza il vero e proprio trasferimento di quote o interi pacchetti azionari dallo Stato a soggetti privati. Oltre alla privatizzazione sostanziale, ricordiamo la cosiddetta “privatizzazione formale”: con tale termine si vuole indicare “il cambiamento della struttura organizzativa di un ente da pubblicistica (azienda autonoma, ente pubblico economico, ente gestore di partecipazioni statali) in privatistica (società per azione), pur restando sotto il controllo della mano pubblica, dal momento che lo Stato rimane proprietario della totalità delle azioni oppure del pacchetto di maggioranza”. La tesi ripercorre, inoltre, la storiografia delle principali privatizzazioni realizzate dallo Stato nel periodo dal 1992 al 2008. Attraverso i proventi derivanti dalle privatizzazioni, tramite la legge 432/93 che ha istituito il fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, sono state ripianate parte delle perdite originate dalla “mala gestione” dell’impresa pubblica dal dopoguerra ad oggi ed è stata abbattuta una piccola quota del debito pubblico. Nell’ambito della tesi si è, tra l’altro, cercato di confrontare le prime forme di privatizzazione dell’Ottocento con quelle realizzate a partire dagli anni Novanta del Novecento, al fine di evidenziarne eventuali differenze. Pertanto, sia nella seconda parte dell’Ottocento sia negli anni Novanta del Novecento, fino ad arrivare ai nostri giorni, lo Stato per fare “cassa” ha ceduto un immenso patrimonio. In particolare, sono state privatizzate molte imprese pubbliche, inefficienti a causa dell'eccessiva politicizzazione; dismetterle significava migliorare la condizione complessiva dello Stato, anche sotto questo profilo. Per cui ammesse scarsa produttività ed eccessiva politicizzazione, è anche vero che potevano essere intraprese delle adeguate misure per correggere queste inefficienze. Invece, abbiamo assistito alla privatizzazione di queste imprese o, per meglio dire, alla loro “svendita”, con danni non indifferenti per la collettività. Mentre la politica nell’ultimo ventennio ha cercato, attraverso la valorizzazione delle autonomie, di avvicinarsi alle comunità, l’economia si è, invece, allontanata.

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