Taci infame. Vite di cronisti dal fronte del Sud di Walter Molino edito da Il Saggiatore
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Taci infame. Vite di cronisti dal fronte del Sud

Collana:
Infrarossi
Data di Pubblicazione:
10 giugno 2010
EAN:

9788842816256

ISBN:

8842816256

Pagine:
239
Formato:
brossura
Argomenti:
Stampa e giornalismo, Reportage e raccolte giornalistiche
Disponibile anche in E-Book
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Descrizione Taci infame. Vite di cronisti dal fronte del Sud

Nei territori dominati dalle mafie, i giornalisti che indagano e denunciano diventano bersaglio di minacce, intimidazioni e aggressioni. Lavorano solitamente in testate locali, come accadeva a Mauro Rostagno o a Peppino Impastato, sono indifesi e vulnerabili, rimangono sconosciuti, finché non arrivano a subire la violenza estrema dell'omicidio. Questo libro è un reportage esemplare sulla più inquietante periferia dell'informazione italiana, quella del Mezzogiorno d'Italia, grazie al quale vengono sottratte dal silenzio e dall'isolamento persone e storie altrimenti invisibili. Tra i protagonisti di "Taci infame" vi sono Antonio Sisca, il giornalista calabrese che ha scoperto cinque casi di "lupara bianca" indicandone anche i mandanti; Dino Paternostro, cronista dell'ascesa criminale dei corleonesi; Antonio Anastasi, che ha fatto conoscere le cosche del crotonese; Carlo Ruta, a cui si devono molte delle verità sull'omicidio di Spampinato, il giornalista ucciso per aver denunciato le commistioni tra mafia e politica nella provincia di Ragusa. Chi sapeva dell'esistenza di Rostagno o Giancarlo Siani o Peppino Impastato prima che fossero uccisi? Sui cronisti vittime di mafie si sono scritti molti libri. Questo è il primo libro sulla vita dei cronisti dal fronte del Sud.

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4 di 5 su 1 recensione

Non eroi ma uominiDi T. Alessandro-23 settembre 2010

«Buongiorno professore, come sta? Possiamo offrirle qualcosa?». La piazza è uno distesa in cemento, priva di alberi, priva di gente. Di lato uno scorcio di strada, che porta accanto, lontano, altrove. Al centro una fontana, vergata di scritte fanciulle, priva di acqua. E poi la chiesa. Alta, bianca, vuota: in attesa delle comari diurne, intente al rito rosario al tramonto. «Buongiorno professore, come sta? Possiamo offrirle qualcosa?». C’è il Bar nella piazza. Osservandolo meglio, osservandolo bene, t’accorgi che ha la pancia vuotata: nessun dolciume in vetrina, nessuna leccornia al bancone. Eppure quanti, fuori, vi sostano. Volti rubizzi, pieni, sformati s’alternano a visi slavati, ombratili, iscuriti dai baffi. Uomini “assettati” a pancia mostrata, uomini “assettati” pieghi in avanti, volto celato tra i gomiti al tavolo. Uomini che respirano la mala, “assettati” per scelta, volontà, devozione. «Buongiorno professore, come sta? Possiamo offrirle qualcosa?». Il “professore”, costretto all’affaccia alla piazza per giungere a scuola, è Antonio Sisca, docente liceale d’italiano e corrispondente da Filadelfia per la “gazzetta del Sud”. Non ci si inganni: Filadelfia s’accuccia in Calabria, mostrando a chi l’osserva dall’alto un manto di tetti rossastri. Antonio Sisca fa l’appello, la mattina in classe, ai ragazzi presenti. E fa l’appello, di pomeriggio alla scrivania, a quelli scomparsi: Aloi Francesco, Anello Francesco, Galati Valentino, Panzerella Domenico, Serraino Domenico. Nomi, poco più che ventenni, spariti a lupara. Nomi che Antonio Sisca commemora ricordandone le vite, le storie, le morti. E ricordando per articoli che ha spinto tremila persone in marcia notturna, a Filadelfia e dintorni: tremila persone, fiere pigiate, che seguivano a coraggio cinque madri, chiedendo “i resti, almeno i resti”. Miracolo laico, che da fastidio: «Buongiorno professore, come sta? Possiamo offrirle qualcosa?». Perché la mala spara ai vetri delle finestre quando sei a cena, come ad Angela Corica, cronista ventiquattrenne con la “fissa sbagliata” di raccontare Gioia Tauro, oppure incendia auto destando per scoppio un intero quartiere, com’è accaduto a Lino Fresca, Dino Paternostro, Pino Maniaci. Ma prima ti si avvicina e, braccio su spalla, ti fa sentire il lezzo putrido del suo fiato in minaccia. Come ad Arnoldo Capezzuto, al Tribunale di Napoli: «Siete Arnoldo Capezzuto? Comm’ amma fa’ cu voi…». A Rosaria Capacchione, addirittura, l’hanno baciata, facendole sentire l’umido delle labbra: «Ha aspettato che fossi sola, si è avvicinato e mi ha chiesto “Posso darle un bacio? E nel frattempo guardava alla mie spalle, come stesse recitando, come avesse un pubblico scelto». Questo colpisce nel libro: la solitudine, che pare inevitabile, di questi cronisti che narrano “la terra dei poveri cristi”. Non ci si provi a farli passare ad eroi per narrarli poi angeli: sono uomini e donne che hanno carne che trema, paure notturne, dolori e nevrosi. Che son male pagati quando pagati, spesso sono senza contratto, con il timore di non poter scrivere domani. Sono uomini e donne con carta, penna e domande in una tasca e le dita incrociate nell’altra. Non eroi, non angeli, non folli. Uomini e donne le cui storie vanno tenute a memoria, perché non a memoria ci si ricordi i loro nomi.