Studi empirici sulle società di capitali di Giovanni Figà Talamanca edito da Piccin-Nuova Libraria

Studi empirici sulle società di capitali

Data di Pubblicazione:
2009
EAN:

9788829920457

ISBN:

8829920452

Pagine:
180
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Descrizione Studi empirici sulle società di capitali

’analisi quantitativa dell’esperienza giuridica, in senso debole ed ampio (uffici giudiziari, risorse, reclutamento dei professionisti del diritto, provvedimenti di giustizia ecc.), è un genere praticato da molti e soprattutto da quando l’informatica ha permesso un’elaborazione particolarmente efficace – strabiliante, per il passato - dei dati: l’analisi è sviluppata da istituzioni e da studiosi e, proprio nella variante informatica, si è guadagnata uno statuto epistemologico, grazie alla formazione di un lessico di specialità (in Italia, si possono citare soprattutto i nomi di Frosini e di Losano), e uno spazio tra gli insegnamenti universitari. In questo processo, la finalità conoscitiva si accompagna, spesso, ad un’aspirazione predittiva, al progetto di antivedere gli eventi (soprattutto le decisioni) computando, con l’ausilio inevitabile dell’elaboratore elettronico, i dati empirici registrati. Pur pensabile nel contesto molteplice dell’analisi quantitativa del giuridico, l’opera di Giovanni Figà-Talamanca, della quale qui si dice per propiziarne la lettura, si segnala per un carattere poco o nulla corrente: la realtà scandagliata, a ricercarne le quantità, è articolata tematicamente e i dati quantitativi sono raccolti, ordinati e restituiti al lettore con l’intento di testare la correttezza dei processi di trasformazione (per ora prevalentemente prospettati dalla letteratura giuridica, stante la giovinezza della riforma del diritto societario) che dai testi legislativi portano alla conclusione di diritto (antonomasticamente, al dispositivo di una sentenza) o di rettificarne il percorso se sentito inappagante per la logica giuridica o per l’amministrazione degli interessi coinvolti. Una campionatura dell’opera dia concretezza all’immagine che ho cercato di tracciarne. La novità forse più vistosa della società per azioni “riformata” (della s.p.a. dopo la riforma organica del 2003) è, probabilmente, quella della triade organizzativa messa a disposizione dell’autonomia statutaria: le funzioni di amministrazione, controllo di legalità e vigilanza sono aggiudicabili dallo statuto ai due uffici noti al diritto azionario previgente (Consiglio di amministrazione – o Amministratore unico – e Collegio sindacale); oppure a due uffici collegiali designati con una nomenclatura che cita il diritto azionario tedesco e francese (Comitato di gestione e Consiglio di sorveglianza); o, infine, a due articolazioni di un unico ufficio collegiale, il Consiglio di amministrazione, alcuni dei preposti al quale sono investiti della funzione di vigilanza da esercitarsi, ancora, collegialmente: Comitato per il Controllo sulla gestione). Quale che sia la figura organizzativa prescelta (sistema tradizionale, o latino; dualistico o tedesco; monistico o anglosassone), il controllo contabile è, in principio, “esternalizzato”; mentre la competenza della compagine sociale, deliberante secondo il procedimento assembleare, subisce limitazioni rispetto a quelle che le son proprie secondo il sistema latino, nel caso di opzione per il sistema dualistico, salva diversa scelta statutaria. L’indagine quantitativa depone, da un lato, per la rarità dell’adozione del sistema monistico, rarità che, allo stato, resiste all’affermarsi di un italian way nell’uso di un modello ispirato dall’esperienza anglo-americana; ma che è sufficiente a smentire l’impressione che il confine tra amministratori che compongono il Comitato di Controllo e altri amministratori ripartisca i consiglieri tra “esecutivi” e “non esecutivi”, considerato che è (relativamente al campione limitato del quale si dispone) prevalente il ricorso a deleghe, in assenza delle quali le funzioni di vigilanza e amministrativa rischierebbero di perdere ogni rispettiva specificità (essendo l’amministrazione scandita da decisioni da adottarsi, secondo il rito collegiale, da tutti i consiglieri d’amministrazione). Dall’altro, la stessa indagine orienta ad attribuire, nel sistema dualistico una funzione compositiva della dialettica tra azionisti di riferimento nel Consiglio di sorveglianza delle società ad elevata capitalizzazione; con la conseguenza che questo Consiglio – anche perché prevalentemente dotato, per statuto, di poteri di elaborazione dell’alta strategia imprenditoriale – somiglia molto di più ad un tradizionale Consiglio di Amministrazione che ad un’istanza di controllo di legalità e, appunto, di sorveglianza (cioè di garanzia di sana amministrazione) e che, il Comitato di gestione si atteggia come un tradizionale Comitato esecutivo. La ricerca empirica conferma, insomma, i sospetti di una qualche ipocrisia e di una debole utilità del sistema dualistico, ricavati, l’uno, dalla negata stabilità reale ai preposti al Consiglio di sorveglianza (si sorveglia poco e male se la persistenza del proprio mandato è in potestate del mandante), l’altro, dal fatto che il diritto azionario italiano, diversamente dal tedesco, ignora modalità di partecipazione dei lavoratori agli organi della società che esercita l’impresa alla quale sono addetti e, quindi, non sollecita un’architettura organizzativa che dia un ruolo istituzionale, ma non di governo, agli esponenti di interessi sociologicamente contrapposti a quelli dei portatori del capitale di rischio.

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