Trama La strega e il capitano
In questo breve romanzo del 1986 Sciascia affronta un seicentesco caso di stregoneria, dedicando all'episodio - in apparenza uno dei tanti depositati nei nostri archivi - una scrupolosa ricostruzione. Nello sbrogliare l'esasperante "pasticciaccio" tuttavia egli non si limita a consegnarci una delle sue miniature microstoriche, ma dilata l'avversione della Chiesa Cattolica per le "antiche fantasie e leggende" a metafora dell'eterno schema che vede ogni "sistema dominante" combattere tutte le fonti di "ingiustizia, miseria e infelicità" nel momento in cui "ingiustizia, miseria e infelicità" vengono da quello stesso sistema "in maggiore quantità e con accelerazione prodotte".
Recensioni degli utenti
Una lettura davvero soddisfacente -19 aprile 2012
Il libro è un'indagine sui generis su un caso di "temuta stregoneria" letteralmente sviscerato da Sciascia. Tramite una originale ricostruzione dei fatti, la vicenda stupisce, fa pensare a quanto stupida fosse la messa a morte per delitti irreali. Sciascia, con sottile sarcasmo, ragiona sulla cattiveria delle persone e sulla crudeltà della chiesa che ha sempre predicato bene ed ha spesso operato il male.
Bel quadretto storico-27 marzo 2012
Racconta la storia di Caterina Medici serva, "carnosa, ma di ciera diabolica". Additata dalla famiglia Melzi e da un Capitano tale Vacallo di essere una nota strega capace di immani stregonerie. La disgraziata, per evitare la morte disse tutto quello che i giudici volevano ed anche di più. La condanna fu comunque eseguita nel marzo 1617. Non sapremo mai se poi il Capitano Vacallo riuscì a comprendere cosa fosse l'amore, e se i guai del Melzi svanissero. Come sempre quando leggo Sciascia mi si aprono universi, si acuiscono le mie percezioni, si accende la voglia di conoscere.
La strega e il Capitano-8 agosto 2011
E' uno dei tanti quadretti storici che Sciascia scriveva per sensibilizzare il pubblico su temi quali l'inquisizione, precisa e chiara la ricostruzione e interessante il quadro del periodo che ne risulta: le credenze, le superstizioni, gli atti di stregoneria, le azioni del diavolo e, su tutti, l'assurda legge dell'Inquisizione. Il modo come il "delitto" fu scoperto rende questo processo per stregoneria meno ripetitivo e banale di altri che conosciamo. Uguale a tanti altri nell'atrocità del procedimento e dell'esito, ma diverso in quel che Ludovico Melzi proclama aiuto divino ed è invece, semplicemente, l'aiuto di un cretino che non riconosce in sé il divino. Il divino dell'amore. Il divino della passione amorosa. E viene da invocare: perché il canto quinto dell'"Inferno" di Dante o quello della pazzia di Orlando dell'Ariosto, un sonetto del Petrarca, un carme di Catullo, il dialogo di Romeo e Giulietta (proprio in quell'anno Shakespeare moriva) non volarono ad aiutare un tal nefasto cretino a guardare dentro di sé, a capirsi, a capire? (Poiché nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende.)