Sono stato un numero. Alberto Sed racconta di Roberto Riccardi edito da Giuntina
Alta reperibilità

Sono stato un numero. Alberto Sed racconta

Editore:

Giuntina

Collana:
Vite
Data di Pubblicazione:
15 gennaio 2009
EAN:

9788880573272

ISBN:

8880573276

Pagine:
165
Formato:
brossura
Argomenti:
Olocausto, Storia d'Europa
Disponibile anche in E-Book
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Descrizione Sono stato un numero. Alberto Sed racconta

Questo libro racconta la vita di Alberto Sed dalla nascita ai giorni nostri. Rimasto orfano di padre da bambino, Alberto è stato per anni in collegio. Le leggi razziali del 1938 gli hanno impedito di proseguire gli studi. Il 16 ottobre 1943 è sfuggito alla retata effettuata nel ghetto di Roma. È stato catturato in seguito, insieme alla madre e alle sorelle Angelica, Fatina ed Emma. Dopo il transito da Fossoli, la famiglia è giunta ad Auschwitz su un carro bestiame. Emma e la madre, giudicate inabili al lavoro nella selezione condotta all'arrivo, sono finite subito nella camera a gas. Angelica, un mese prima della fine della guerra, è stata sbranata dai cani per il divertimento delle SS. Solo Fatina è tornata, segnata da ferite profonde: ha assistito alla fine terribile di Angelica ed è stata sottoposta agli esperimenti del dottor Mengele. Alberto è sopravvissuto a varie selezioni, alla fame, alle torture, all'inverno, alle marce della morte. Ha partecipato per un pezzo di pane ad incontri di pugilato fra prigionieri organizzati la domenica per un pubblico di SS con le loro donne. Dopo essere scampato a un bombardamento, è stato liberato a Dora nell'aprile 1945. Tornato a Roma, superate le difficoltà di reinserimento, ha iniziato a lavorare nel commercio dei metalli e si è sposato. Ha tre figlie, sette nipoti e tre pronipoti.

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3 di 5 su 1 recensione

Una storia a lieto fineDi t. raniero-17 luglio 2010

Alberto Sed, sopravvissuto, racconta; Riccardi Roberto, amico di Alberto, che ha per la Shoa una "sana ossessione", raccoglie la sua testimonianza e la traduce in un libro, affinchè possa anche questa aiutare a non dimenticare ciò che è stato. A differenza, delle testimonianze, per così dire, "a caldo", scritte subito dopo la fine degli orrori patiti, e forse più pregnanti, dettate come erano dall'urgenza di raccontare l'indicibile, questa è soggetta ad un doppio filtro: la distanza temporale, che intercorre tra gli accadimenti e la loro esposizione, e la presenza di un nuovo soggetto, l'autore, che, depositario del racconto del sopravvissuto, lo rielabora sicuramente in modo artificioso (la cura per lo stile, l'inevitabile cernita degli episodi, ecc.). Del primo aspetto, mi sembra che se ne sia occupato Primo Levi ne "I sommersi e i salvati" dicendo pressappoco che più ci si allontana dal tempo in cui determinati fatti accaddero, più la memoria, causa meccanismi di natura psicologica, potrebbe consapevolmente o no riportare informazioni non propriamente corrette. Per quanto concerne, invece, la rielaborazione delle testimonianze, è facile intuire come diversi elementi di natura affettiva (il sentimento d'amicizia, la stima, il rispetto nei confronti di Alberto Sed) e di natura stilistica possano portare a deformare la realtà, pur obbedendo in buona fede al criterio della verità del racconto di cui l'autore si fa portavoce e custode. Il prodotto finale, pur essendo molto curato, non riesce quasi mai ad avere "una presa diretta" sull'animo del lettore, sebbene le atrocità narrate siano tali da lasciare annichiliti. Non so, ho quasi l'impressione che il libro non voglia essere altro che un devoto e amorevole tributo di amicizia di Riccardi Roberto al caro Alberto Sed. Mi pare quasi che il racconto sia eccessivamente spinto verso i buoni sentimenti, come si può evincere alla fine, dopo la postfazione, nella lettera ad Alberto Sed, dove l'autore così conclude: "Carissimo Alberto...vorrei ricordare ancora tutte le persone meravigliose che hanno avuto parte in questa storia". E da qui un elenco di tutti quelli che in un modo o nell'altro, manifestando coraggio e bontà, hanno aiutato il protagonista durante la sua discesa agli inferi, prima, e la sua liberazione, poi. Non voglio assolutamente affermare che non ci furono azioni coraggiose e buone durante le persecuzioni naziste e all'interno dei Lager, tuttavia, in questo specifico libro, ripeto, ho quasi l'impressione di un'eccessiva edulcorazione delle vicende, di un accento quasi melodrammatico.