Le parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia edito da Adelphi
Alta reperibilità

Le parrocchie di Regalpetra

Editore:

Adelphi

Collana:
Fabula
Edizione:
6
Data di Pubblicazione:
17 giugno 1991
EAN:

9788845908408

ISBN:

8845908402

Pagine:
196
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4 di 5 su 2 recensioni

Le parrocchie di RegalpietraDi V. Giacomo-26 settembre 2011

Con questo scritto Sciascia inaugura il suo peculiare stile letterario a metà tra la favola moderna e il saggio filosofico, un saggio che parla dell'ambiente, della gente, della storia di Racalmuto, paese natio di Sciascia, denunciando apertamente, senza remore, i problemi ancestrali, ormai cronicizzati, che affliggono quella località, finendo per estensione con il caratterizzare qualsiasi unità amministrativa siciliana. Ma perché allora non intitolarlo Le parrocchie di Racalmuto? Lo spiega lo stesso autore nella prefazione, precisando Debbo aggiungere che il nome del paese, Regalpetra, contiene due ragioni: la prima, che nelle antiche carte Recalmuto (cui in parte le cronache del libro si riferiscono) è segnata come Regalmuto; la seconda, che volevo in qualche modo rendere omaggio a Nino Savarese, autore dei Fatti di Petra. C'è un ordine logico in queste cronache che non è solo temporale, ma anche finalizzato a dimostrare appunto quell'Enorme tempo, cristallizzato, che Giuseppe Bonaviri ha reso perfettamente con il suo omonimo libro. Si parte così dalla storia del paese, andando indietro di circa quattro secoli per approdare, abbastanza rapidamente, al periodo intercorrente fra le due guerre, con gustose rappresentazioni dell'era fascista, ma è soprattutto il dopoguerra, frutto dell'esperienza diretta, il cardine di tutta l'opera, con l'acuta osservazione della politica, i cui rappresentanti locali, dismessa la camicia nera, ora ne indossano di altri colori, ma, si sa, come l'abito non faccia il monaco. L'effettiva preoccupazione di Sciascia, però, è il fine stesso dell'opera e cioè di mostrare le condizioni in cui versavano le classi povere, con la scarsa e inadeguata paga per il necessario sostentamento, accompagnata dal rischio insito nel lavoro proprio dei cavatori di sale e degli zolfatari. Se la descrizione della vita di questi quasi servi della gleba provoca sdegno nel lettore, Le cronache scolastiche dello Sciascia maestro sono di quelle che stringono il cuore, che fanno venire in mente l'infanzia di tanti derelitti descritta già dal Verga e che nel Cuore di De Amicis risulta sì commovente, ma edulcorata. Qui la verità cruda è che gli scolari patiscono la fame, soffrono il freddo, già alla loro età maturano gli espedienti per sopravvivere, vestiti di stracci, spesso alternando lavori faticosi agli studi, senza un avvenire, immiseriti fuori e dentro. Ricordo che siamo negli anni 50 del XX secolo e non nel XVIII o XIX secolo; l'Italia è uscita dalla guerra impoverita, desiderosa tuttavia di raggiungere migliori condizioni di vita, ma lì, a Racalmuto Regalpetra, si vive solo per morire. Credetemi, poiché non è un romanzo in cui vien dato spazio alla fantasia, ma è una cronaca, un'indagine e quindi c'è solo realtà, a leggere queste pagine si è pervasi da un'intensa commozione e anche da un senso di vergogna, per noi che ora abbiamo tutto, quando loro invece non avevano niente, ma solo la fatica di vivere. Come se Le cronache scolastiche non fossero sufficienti l'ultimo articolo di questo libro, intitolato La neve, il Natale è di quelli che è impossibile dimenticare, perché allargano quella ferita che già si è aperta in noi. Un inverno rigido, di quelli da tenere a memoria, con tanta neve e gli scolari vestiti quasi come Arlecchini, perché le mamme rimediano quello che è possibile trovare per attenuare il senso di freddo, il Natale che si avvicina, che arriva e il diario di tre di loro su come hanno trascorso la festività cristiana. Sono stilettate vere e proprie, come questa: " Io il giorno di Natale ho giuocato con i miei cugini e i miei compagni. Avevo vinto duecento lire e quando sono ritornato a casa mio padre me le ha prese e se ne è andato a divertirsi lui. ". E' comprensibile quindi l'altra funzione di queste cronache, cioè l'essere la base, lo spunto per le opere successive di Sciascia, tanto che nel 1967, a proposito di Le parrocchie di Regalpetra, l'autore scrisse " Tutti i miei libri in effetti ne fanno uno. Un libro sulla Sicilia che tocca i punti dolenti del passato e del presente e che viene ad articolarsi come la storia di una continua sconfitta della ragione e di coloro che nella sconfitta furono personalmente travolti e annientati. ". Questo libro è assolutamente imperdibile.

Il problema storico della miseriaDi M. Renzo-6 ottobre 2010

Pubblicato nel 1956 dall’editore Laterza, Le parrocchie di Regalpetra non è un romanzo, bensì una saggio che parla dell’ambiente, della gente, della storia di Racalmuto, paese natio di Sciascia, denunciando apertamente, senza remore, i problemi ancestrali, ormai cronicizzati, che affliggono quella località, finendo per estensione con il caratterizzare qualsiasi unità amministrativa siciliana. Ma perché allora non intitolarlo Le parrocchie di Racalmuto? Lo spiega lo stesso autore nella prefazione, precisando Debbo aggiungere che il nome del paese, Regalpetra, contiene due ragioni: la prima, che nelle antiche carte Recalmuto (cui in parte le cronache del libro si riferiscono) è segnata come Regalmuto; la seconda, che volevo in qualche modo rendere omaggio a Nino Savarese, autore dei Fatti di Petra. C’è un ordine logico in queste cronache che non è solo temporale, ma anche finalizzato a dimostrare appunto quell’Enorme tempo, cristallizzato, che Giuseppe Bonaviri ha reso perfettamente con il suo omonimo libro. Si parte così dalla storia del paese, andando indietro di circa quattro secoli per approdare, abbastanza rapidamente, al periodo intercorrente fra le due guerre, con gustose rappresentazioni dell’era fascista, ma è soprattutto il dopoguerra, frutto dell’esperienza diretta, il cardine di tutta l’opera, con l’acuta osservazione della politica, i cui rappresentanti locali, dismessa la camicia nera, ora ne indossano di altri colori, ma, si sa, come l’abito non faccia il monaco. L’effettiva preoccupazione di Sciascia, però, è il fine stesso dell’opera e cioè di mostrare le condizioni in cui versavano le classi povere, con la scarsa e inadeguata paga per il necessario sostentamento, accompagnata dal rischio insito nel lavoro proprio dei cavatori di sale e degli zolfatari. Se la descrizione della vita di questi quasi servi della gleba provoca sdegno nel lettore, Le cronache scolastiche dello Sciascia maestro sono di quelle che stringono il cuore, che fanno venire in mente l’infanzia di tanti derelitti descritta già dal Verga e che nel Cuore di De Amicis risulta sì commovente, ma edulcorata. Qui la verità cruda è che gli scolari patiscono la fame, soffrono il freddo, già alla loro età maturano gli espedienti per sopravvivere, vestiti di stracci, spesso alternando lavori faticosi agli studi, senza un avvenire, immiseriti fuori e dentro. Ricordo che siamo negli anni 50 del XX secolo e non nel XVIII o XIX secolo; l’Italia è uscita dalla guerra impoverita, desiderosa tuttavia di raggiungere migliori condizioni di vita, ma lì, a Racalmuto – Regalpetra, si vive solo per morire. Credetemi, poiché non è un romanzo in cui vien dato spazio alla fantasia, ma è una cronaca, un’indagine e quindi c’è solo realtà, a leggere queste pagine si è pervasi da un’intensa commozione e anche da un senso di vergogna, per noi che ora abbiamo tutto, quando loro invece non avevano niente, ma solo la fatica di vivere. Come se Le cronache scolastiche non fossero sufficienti l’ultimo articolo di questo libro, intitolato La neve, il Natale è di quelli che è impossibile dimenticare, perché allargano quella ferita che già si è aperta in noi. Un inverno rigido, di quelli da tenere a memoria, con tanta neve e gli scolari vestiti quasi come Arlecchini, perché le mamme rimediano quello che è possibile trovare per attenuare il senso di freddo, il Natale che si avvicina, che arriva e il diario di tre di loro su come hanno trascorso la festività cristiana. Sono stilettate vere e proprie, come questa: “ Io il giorno di Natale ho giuocato con i miei cugini e i miei compagni. Avevo vinto duecento lire e quando sono ritornato a casa mio padre me le ha prese e se ne è andato a divertirsi lui. “. E’ comprensibile quindi l’altra funzione di queste cronache, cioè l’essere la base, lo spunto per le opere successive di Sciascia, tanto che nel 1967, a proposito di Le parrocchie di Regalpetra, l’autore scrisse “ Tutti i miei libri in effetti ne fanno uno. Un libro sulla Sicilia che tocca i punti dolenti del passato e del presente e che viene ad articolarsi come la storia di una continua sconfitta della ragione e di coloro che nella sconfitta furono personalmente travolti e annientati.”. Questo libro è assolutamente imperdibile.