Parola di avvocato. L'eloquenza forense in Italia tra Cinque e Ottocento di Franco Arato edito da Giappichelli

Parola di avvocato. L'eloquenza forense in Italia tra Cinque e Ottocento

Editore:

Giappichelli

Data di Pubblicazione:
17 dicembre 2015
EAN:

9788892100794

ISBN:

8892100793

Formato:
brossura
Argomento:
Semantica
Disponibile anche in E-Book
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Descrizione Parola di avvocato. L'eloquenza forense in Italia tra Cinque e Ottocento

Questo libro nasce dalla curiosità di sapere quanto in un paese di affabulatori e concionatori come l’Italia ha pesato l’eloquenza degli avvocati. La prospettiva lunga adottata si spiega con la fortuna intermittente dell’oratoria forense: che se in alcune aree (a Venezia e a Napoli) vantò sempre esempi più o meno illustri, in altre conobbe lunghe parentesi, complice anche la forma non pubblica del processo. Eppure lentamente si formò una scuola di eloquenza destinata a produrre la figura del Principe del Foro, infine trionfante nelle aule giudiziarie dell’Italia unita. Uno dei temi affrontati riguarda l’eterna vicenda di conflitto e alleanza tra letterati e giuristi. L’avvocato di professione Carlo Goldoni si guadagnò il pane arringando sino ai suoi quarant’anni, tessendo successivamente nelle commedie l’elogio dell’avvocato veneziano che improvvisa in vernacolo. A Milano Giuseppe Parini cercò il consenso dei giuristi per l’approvazione di riforme che modificassero i codici, trovando uno specchio nella prosa dei Delitti e delle pene di Cesare Beccaria, in cui si celano anche paradossali arringhe, quale è la perorazione del ladro che sfida le leggi in nome dell’«indipendenza naturale». A Napoli Francesco Mario Pagano si propose di portare, come scrisse, «la fiaccola della filosofia per entro le tenebre del Foro» combattendo la pratica della tortura giudiziaria. La Toscana della Restaurazione vide un rilancio dell’eloquenza: vi si distinse Giovanni Carmignani, amico del Leopardi, già tragediografo e attore alfieriano; con lui siamo a un bivio tra le ragioni della persuasione ornata e la stretta logica dimostrativa, che cerca di sottrarsi all’alea della mozione degli affetti temendo la trappola del ‘libero convincimento del giudice’. In un modo o nell’altro, l’utopia secondo cui le contese giudiziarie possano risolversi con il semplice ausilio di costruzioni logiche pare destinata a cozzare con la realtà del processo: dove di sociologia del diritto spesso si tratta, la bilancia della giustizia essendo sottoposta alle più stravaganti oscillazioni. Qui la retorica affila le sue armi: a difesa di una verità che pretende obiettiva.

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