Necropoli di Boris Pahor edito da Fazi

Necropoli

Editore:

Fazi

Data di Pubblicazione:
2008
EAN:

9788882218812

ISBN:

8882218813

Pagine:
240
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Trama Necropoli

Campo di concentramento di Natzweiler-Struhof sui Vosgi. L'uomo che vi arriva, una domenica pomeriggio insieme a un gruppo di turisti, non è un visitatore qualsiasi: è un ex deportato che a distanza di anni è voluto tornare nei luoghi dove era stato internato. Subito, di fronte alle baracche e al filo spinato trasformati in museo, il flusso della memoria comincia a scorrere e i ricordi riaffiorano con il loro carico di dolore e di rabbia. Ritornano la sofferenza per la fame e il freddo, l'umiliazione per le percosse e gli insulti, la pena profondissima per quanti, i più, non ce l'hanno fatta. E come fotogrammi di una pellicola, impressa nel corpo e nell'anima, si snodano le infinite vicende che ci parlano di un orrore che in nessun modo si riesce a spiegare, ma insieme i tanti episodi di solidarietà tra prigionieri, di una umanità mai del tutto sconfitta, di un desiderio di vivere che neanche in circostanze così drammatiche si è mai perso completamente.

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4 di 5 su 1 recensione

NecropoliDi p. raffaele-6 aprile 2011

Una grande saga familiare al di la' del confine del tempo e dello spazio. Se giorno della memoria deve essere che sia almeno il giorno in cui i protagonisti di quella memoria possano parlare al cervello o al cuore di chi li vuole ascoltare. Per questo ho iniziato il viaggio dell'orrore insieme a Boris Pahor il 27 gennaio di quest'anno. Ci sono varie cose stupefacenti nella lettura di questa testimonianza. La prima è che all'orrore, almeno io, non riesco ad abituarmi eppure Boris Pahor e come lui molti altri, sono stati costretti ad abituarsi per un tempo lunghissimo. Boris Pahor lega questa capacità all'abituarsi a due fattori: il primo un desiderio anche incoscio di sopravvivenza che l'uomo ha, il secondo è il meccanismo per mezzo del quale è probabilmente possibile abituarsi, ovvero quello di isolare (cementare saldamente) la parte più interiore del proprio essere e prestare estrema attenzione e concentrazione alle "normali" incombenze quotidiane come se fossero effettivamente determinanti. Così il curare un malato che si sa senza speranza diventa un fatto essenziale alla vita, alla propria ma anche a quella dell'ammalato. Ciò nonostante mi risulta difficile capire. Seguo Pahor nel suo camminare tra i viali, le baracche, il forno crematorio del campo dove lui è stato prigioniero e dove torna da vistatore, lo ascolto evocare i rumori, gli odori, la fame, il freddo eppure non riesco a capire. Riesco a partecipare, ma non riesco a capire. Non riesco a capire come un uomo possa pensare di infliggere una vita, una morte lenta e dolorosa in realtà, ad un altro uomo e sentirsene completamente non responsabile e non riesco nemmeno a capire come dal mondo crematorio, come lo chiama Pahor, si possa tornare. Tornare lucidi, tornare senza alcuna traccia di quel normale desiderio di vendetta, non dico con la capacità e la cosapevolezza di chi ha perdonato, ma almeno con la certezza di aver intuito una motivazione. Insomma se un viaggio nell'orrore può essere bellissimo, questo è il caso della narrazione di Pahor.