Napòlide

Letto al momento giusto, durante un vacanza nella città partenopea, questo libro ha una densità che obbliga all'interruzione, alla riflessione, con la vista che si perde oltre il finestrino per cercare dentro di sé le immagini, per 'ruminare' i pensieri in tempi allungati. Perché ogni frase merita tempo e va assaporata lentamente, con la mente appesa a quelle parole, mai banali o scontate, sempre intense. Pur non condividendone a volte le idee. E parlando di sé e del suo sentirsi Napòlide, Erri non fa che parlare di solitudini, in un ventaglio aperto tra il primo racconto: A Napoli, quando scendo gli scalini del treno, non mi sento tornato. Invece mi sento solo con un diritto più intimo di quello che provo altrove (pag. 5) e l'ultimo Pasta, il più struggente, che vale tutta la raccolta: Un uomo in cucina si apparecchia la cena. E' solo, mette ogni sera un coltello, una forchetta, un piatto, mosse soprappensiero. Quando prende il bicchiere si accorge di essere lui e basta. Il bicchiere accusa, non si solleva verso nessuno (pag. 95).