Michelangelo. La grande ombra di Filippo Tuena edito da Fazi

Michelangelo. La grande ombra

Editore:

Fazi

Collana:
Tascabili
Data di Pubblicazione:
23 ottobre 2008
EAN:

9788881129737

ISBN:

8881129736

Pagine:
312
Formato:
brossura
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Trama Michelangelo. La grande ombra

Perché Michelangelo, ormai anziano e malato, declinò i continui inviti di Cosimo de' Medici a fare rientro a Firenze? Era trattenuto a Roma dagli obblighi di lavoro per il papa o era altro a impedirgli il ritorno in patria? Da questa domanda prende spunto "Michelangelo. La grande ombra". Uno dopo l'altro, idealmente interrogati dallo scrittore, sfilano e raccontano la propria versione i tanti personaggi che lo conobbero da vicino: dai domestici agli amanti romani e fiorentini, dai mecenati ai pochi amici sinceri, fino a Benvenuto Cellini e Giorgio Vasari.

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4 di 5 su 2 recensioni

Michelangelo. La grande ombraDi r. Travis-2 settembre 2011

Mi aspettavo qualcosa di molto diverso, forse più un romanzo che un saggio, e invece ha saputo costruire una narrazione che travalica i limiti propri di quel genere, offrendoci non solo un affresco di pregevole fattura, ma un'approfondita disamina dei rapporti fra arte e potere e tra disfacimento senile e decadenza di un periodo storico di grande rilievo quale fu il Rinascimento. Con queste finalità imbastisce un tessuto letterario che prende spunto da una domanda: perché l'ormai anziano, quasi inabile Michelangelo rifiutò i pressanti inviti di Cosimo de' Medici a rientrare a Firenze? Che cosa determinò in lui la ferma decisione di non fare ritorno in patria e di morire così a Roma? L'autore si pone la domanda e cerca la risposta avviando un'indagine che vede protagonisti, di volta in volta, chi conobbe Michelangelo negli ultimi anni della sua vita, nomi talora famosi, come lo stesso Cosimo de' Medici o Giorgio Vasari, tanto per citarne due, e altri meno noti, ma non per questo meno importanti per giungere al risultato principale, nonché per affrontare altri argomenti di interesse più generale. Un uomo, Michelangelo, affetto da profonda solitudine, propria solo dei grandi geni che si sentono lontani dalla quotidianità degli altri uomini, impossibilitati a condurre un'esistenza normale; è una solitudine che al contempo esalta la sua arte, ma che anche lo isola, gli fa avvertire fortemente come la creatività sia concepibile solo con la massima astrazione e l'altrettanto massima libertà. Michelangelo non torna a Firenze perché Cosimo de' Medici rappresenta il potere, il principe che pretende la proprietà intellettuale di quell'opera d'arte che l'artefice invece sente solo sua. Ma dal coro di voci, costituite da uomini con inevitabili pregi e difetti, quali l'invidia, il malanimo, emerge anche un altro elemento che, oltre a connotare la fase di declino del Rinascimento, proietta la specie umana ai nostri giorni, con gli stessi vizi e le stesse virtù, comuni dei mortali e che nulla contribuiscono all'accrescimento di valori della specie stessa. Tuena non disprezza questi personaggi, anzi conferisce loro una propria dignità, facendoli anche portavoce di riflessioni su cui il lettore è indotto a soffermarsi, perché risultano tipiche dell'esistenza e quindi sempre di attualità. E' tutto un susseguirsi di opinioni, e anche di supposte verità, di autoreferenzialità, ma pure di profonda convinzione dei propri limiti; sono personaggi che riemergono dalle tenebre, si agitano, ricorrono a un linguaggio che l'autore di fatto ha inventato (una sorta di gradevole commistione tra rinascimento e moderno), operano freneticamente come tante formiche all'ombra del genio, ammiratrici, ma anche invidiose, perché incapaci di comprendere che cosa ci sia realmente al fondo della creazione di quei capolavori. Quei monumenti, quegli edifici, quelle statue che non finiscono di sorprendere sono al tempo stesso l'estasi e il tormento di un autore la cui genialità è tale da rendergli impossibile la convivenza con i comuni mortali. Da questo libro, quindi, emerge non solo l'eterno contrasto fra potere e libertà artistica, ma scaturisce anche un ritratto veritiero, spesso impietoso, della condizione umana, di una specie dotata del bene dell'intelletto, eppure così fragile, così immatura da non riuscire a comprendere nemmeno se stessa. Questo romanzo è semplicemente un capolavoro.

Tormento ed estasiDi M. Renzo-17 dicembre 2008

Tuena, per parlarci di un Michelangelo al termine della sua vita, avrebbe potuto scrivere un romanzo tipicamente storico, magari avvincente, e invece ha saputo costruire una narrazione che travalica i limiti propri di quel genere, offrendoci non solo un affresco di pregevole fattura, ma un'approfondita disamina dei rapporti fra arte e potere e tra disfacimento senile e decadenza di un periodo storico di grande rilievo quale fu il Rinascimento. Con queste finalità imbastisce un tessuto letterario che prende spunto da una domanda: perché l'ormai anziano, quasi inabile Michelangelo rifiutò i pressanti inviti di Cosimo de' Medici a rientrare a Firenze? Che cosa determinò in lui la ferma decisione di non fare ritorno in patria e di morire così a Roma? L&'autore si pone la domanda e cerca la risposta avviando un'indagine che vede protagonisti, di volta in volta, chi conobbe Michelangelo negli ultimi anni della sua vita, nomi talora famosi, come lo stesso Cosimo de' Medici o Giorgio Vasari, tanto per citarne due, e altri meno noti, ma non per questo meno importanti per giungere al risultato principale, nonché per affrontare altri argomenti di interesse più generale. Un uomo, Michelangelo, affetto da profonda solitudine, propria solo dei grandi geni che si sentono lontani dalla quotidianità degli altri uomini, impossibilitati a condurre un'esistenza normale; è una solitudine che al contempo esalta la sua arte, ma che anche lo isola, gli fa avvertire fortemente come la creatività sia concepibile solo con la massima astrazione e l'altrettanto massima libertà. Michelangelo non torna a Firenze perché Cosimo de' Medici rappresenta il potere, il principe che pretende la proprietà intellettuale di quell'opera d'arte che l'artefice invece sente solo sua. Ma dal coro di voci, costituite da uomini con inevitabili pregi e difetti, quali l'invidia, il malanimo, emerge anche un altro elemento che, oltre a connotare la fase di declino del Rinascimento, proietta la specie umana ai nostri giorni, con gli stessi vizi e le stesse virtù, comuni dei mortali e che nulla contribuiscono all'accrescimento di valori della specie stessa. Tuena non disprezza questi personaggi, anzi conferisce loro una propria dignità, facendoli anche portavoce di riflessioni su cui il lettore è indotto a soffermarsi, perché risultano tipiche dell'esistenza e quindi sempre di attualità. E' tutto un susseguirsi di opinioni, e anche di supposte verità, di autoreferenzialità, ma pure di profonda convinzione dei propri limiti; sono personaggi che riemergono dalle tenebre, si agitano, ricorrono a un linguaggio che l'autore di fatto ha inventato (una sorta di gradevole commistione tra rinascimento e moderno), operano freneticamente come tante formiche all'ombra del genio, ammiratrici, ma anche invidiose, perché incapaci di comprendere che cosa ci sia realmente al fondo della creazione di quei capolavori. Quei monumenti, quegli edifici, quelle statue che non finiscono di sorprendere sono al tempo stesso l'estasi e il tormento di un autore la cui genialità è tale da rendergli impossibile la convivenza con i comuni mortali. Da questo libro, quindi, emerge non solo l'eterno contrasto fra potere e libertà artistica, ma scaturisce anche un ritratto veritiero, spesso impietoso, della condizione umana, di una specie dotata del bene dell'intelletto, eppure così fragile, così immatura da non riuscire a comprendere nemmeno se stessa. Questo romanzo è semplicemente un capolavoro.