Il libraio di Kabul di Åsne Seierstad edito da Rizzoli
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Il libraio di Kabul

Editore:

Rizzoli

Collana:
BUR Best BUR
Traduttore:
Paterniti G.
Data di Pubblicazione:
20 febbraio 2008
EAN:

9788817020282

ISBN:

8817020281

Pagine:
321
Formato:
brossura
Disponibile anche in E-Book
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Trama Il libraio di Kabul

Novembre 2001. Asne Seierstad entra a Kabul e nella vita di Sultan Khan, il libraio che ha pagato con il carcere lo scontro per la dignità della sua nazione. La giovane reporter norvegese diventa per quasi un anno "la figlia bionda" di Sultan, ospite nella sua casa e testimone di amori proibiti, crimini, punizioni, ribellioni giovanili e ingiustizie che segnano la vita quotidiana della famiglia Khan, divisa tra l'onore e le umiliazioni subite, soprattutto dalle donne, sotto il regime talebano. "Il libraio di Kabul" è il resoconto di quell'esperienza straordinaria, la voce di un popolo che cerca di risollevarsi dopo la guerra, i sogni di riscatto che squarciano il buio di una società in lotta per la sopravvivenza.

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3 di 5 su 12 recensioni

Reportage Di D. Maria-30 gennaio 2017

Si tratta di un reportage romanzato della vita di una famiglia afghana. La condizione degli uomini non è molto facile, è terribile invece la vita delle donne, in una società che non lascia spazio ai sentimenti e alla libertà.

InteressanteDi C. Guido-29 febbraio 2016

La giornalista che ha scritto questo libro forse voleva denunciare la condizione della donna nella società islamica. Se la donna è così remissiva in una famiglia alto borghese e illuminata, come sarà tra i poveri villaggi, fra gli sparuti contadini? In realtà non cambia molto e non c'è tutta questa differenza, se non dal punto di vista economico. Ne esce un libro-reportage su tutta la condizione della società islamica, perché anche i maschi soffrono in una società simile, incentrata sulla figura patriarcale. Il capofamiglia decide, chi non si adegua alla sua volontà è fuori, che sia maschio o femmina (vedi il fratello). Il libro risulta molto interessante per chi vuole cercare di capire, non c'è altro sul fronte della storia o del racconto, è slegato. Si tratta comunque di un punto di vista privilegiato perché la ricerca è stata effettuata da una "ospite occidentale" e non da una donna mussulmana.

IncredibileDi b. elvio-29 maggio 2012

Premetto che il libro mi è piaciuto molto e mi ha fatto commuovere e a tratti indignare leggere della vita delle donne afghane. Mi ci sono quasi immedesimata e non posso che provare tanta pena e solidarietà per loro. Il romanzo ha un taglio narrativo che non mi aspettavo, nel senso che prima di acquistarlo pensavo che fosse più un reportage. Mi sbagliavo, è fruibilissimo.

Vivere in AfghanistanDi b. claudia-7 agosto 2011

L'Afghanistan dopo i talebani, un paese che ricomincia ancora una volta e vive le contraddizioni di una società affacciata alla modernità ma ancora estremamente legata alla tradizione. E' interessante questo reportage che ancora una volta mette in evidenza la sofferenza del mondo femminile, per lo più ancora totalmente soggetto a quello maschile. Fanno tenerezza queste donne che tentano di emanciparsi ma si trovano spesso davanti ostacoli insormontabili che finiscono per farle arrendere. Credo ci vorrà ancora tanto tempo prima che le cose migliorino in modo significativo. E intanto si apprezza di più quello che abbiamo noi e diamo sempre per scontato.

Il libraio di KabulDi a. pietro-4 agosto 2011

Un norvegese, scandinavo doc, che parla con perizia della vita in Afghanistan dopo la guerra del 2001. O troppo indulgente o troppo aliena. Qui invece, usando un buon mestiere di scrittura la Seierstad riesce a portarti nell'universo afghano ed a fartelo sentire. Con tutte le sue contraddizioni. Si entra con facilità nel mondo del libraio Sultan Khan, passando man mano dalle prime pagine di ammirazione alle ultime di rabbia impotente. La sua scrittura ci fa facilmente entrare (con tutte le mediazioni di un occhio occidentale) all'interno di un non facilmente decrittabile mondo. Dove valori e concetti che lo governano per noi risultano altri, inconcepibili, in una parola, alieni. Belli i momenti dove si sente con mano il sorgere del conflitto tra l'occidentalizzazione e l'Islam tradizione. L'interessante è tra l'altro vedere come il non schierato intellettuale Sultan Khan, che ha molto sofferto sotto i regimi precedenti la liberazione, non è poi così differente da tutti gli altri afghani, in particolare nel modo vetero-islamico di trattare la donna. Un pensiero finale: com'è difficile essere coerenti quando, liberati dalle costrizioni, possiamo scegliere.

Il libraio di KabulDi m. gianna-18 novembre 2010

Vivendo con la famiglia di Sultan Khan, l'ultimo venditore di libri rimasto a Kabul, la scrittrice ricostruisce uno spaccato della vita in Afghanistan dopo la cacciata dei talebani. Il romanzo è sconcertante perché è terribile la vita degli afgani oppressi dalla miseria, dai pregiudizi e da una cultura che mortifica non solo le donne, ma tutti quelli che non hanno avuto il privilegio di essere il primo figlio maschio. Per chi non è il primogenito maschio, la vita è solo una lotta continua per la sopravvivenza e i propri sentimenti, i desideri o inclinazioni non contano niente (addirittura uno dei figli piccoli del ricco Sultan è sempre chiuso nella bottega del padre ed è gracile anche perché non vede mai il sole) . Se poi nasci donna, l'unico valore che hai è nell'arrivare illibata al matrimonio (la donna è una merce di scambio) e poi nel numero di figli maschi che partorisci (maschi naturalmente perché le figlie femmine sono una disgrazia) . E' una non-vita così terribile da rendere la lettura a volte insopportabile: le donne sono sfruttate, vendute e calpestate in ogni aspetto della loro dignità. Io pensavo che il librario fosse una persona meravigliosa, pronta a difendere la cultura contro tutti i regimi e pertanto difensore dei diritti di tutti. Invece anche lui è un tiranno, un misantropo che opprime tutti i suoi familiari (dalla seconda giovanissima moglie trattata come un bel oggetto sessuale ai fratelli maschi più giovani che non possono esprimere alcun parere sulla propria vita) . Insomma è un romanzo molto bello ma che fa rabbia e si vorrebbe poter intervenire per liberare le donne dalle loro terribili condizioni di vita (e la figura di Leila è terribilmente drammatica perché costretta a fare da serva a tutta la famiglia del fratello senza poter esprimere il proprio essere) . Non sembra poterci essere speranza per l'Afghanistan dilaniata dai signori della guerra che non hanno nessun interesse a convivere pacificamente: solo la guerra esiste per loro, guerra che è espressione di potere (Un soldato afferma tristemente: "Sai qual è il nostro problema? Sappiamo tutto di come si usa un'arma, ma non siamo in grado di usare un telefono") . Ma se anche all'interno di una famiglia come quella di Sultan i fratelli litigano per potersi esprimere (Sultan è il capo e chi non gli obbedisce ciecamente viene allontanato dalla famiglia) , come si può pensare di far convivere pacificamente etnie diverse? E' la condizione femminile, però, l'aspetto più spaventoso simboleggiato dal burka: non solo fa respirare a fatica, ma limita anche la visione. Per vedere di lato, infatti, le donne come i cavalli devono girarsi completamente e questo permette agli uomini di controllare anche cosa stanno guardando.