Lezioni e conversazioni sull'etica, l'estetica, la psicologia e la credenza religiosa di Ludwig Wittgenstein edito da Adelphi
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Lezioni e conversazioni sull'etica, l'estetica, la psicologia e la credenza religiosa

Editore:

Adelphi

Edizione:
10
A cura di:
M. Ranchetti
Data di Pubblicazione:
1 aprile 1976
EAN:

9788845900488

ISBN:

8845900487

Pagine:
172
Disponibile anche in E-Book
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5 di 5 su 1 recensione

Wittgenstein e la meravigliaDi l. graziella-7 luglio 2010

Mi è capitato spesso di riflettere sulla differenza che Wittgenstein traccia a riguardo della meraviglia logica e della meraviglia metafisica (in A Lecture on Ethics, 1929, ora compreso in "Lezioni e conversazioni sull'etica, l'estetica, la psicologia e la credenza religiosa"). Il caso della meraviglia logica è esemplificato da Wittgenstein con questa immagine: vedo un cane più grande di qualsiasi cane mai visto in precedenza. In questo modo posso dire “mi meraviglio”, perché potevo benissimo immaginare che le cose non stessero così come le ho viste. Il caso della meraviglia metafisica invece riguarda asserzioni del tipo “stamane sono uscito di casa e mi sono meravigliato dell’esistenza del mondo”. Questo modo di meravigliarsi per Wittgenstein non ha senso: è impossibile e contradditorio; non posso meravigliarmi per l’esistenza del mondo, poiché non posso immaginarlo come non esistente. Siamo proprio sicuri che sia contraddittoria ed impossibile la meraviglia metafisica? Nell’eventualità della meraviglia logica ciò che va incontro a diversificazione è l’esperito. Ma nel caso della meraviglia metafisica? Non possiamo negare che essa accada. A chi non è capitato di meravigliarsi dell’ovvio? Si potrebbe obiettare che potrebbe trattarsi di un semplice moto di buon umore che ci illude talvolta. Ma anche il buon umore rientra nella casistica di diversificazione che mi pare agisca nel modo della meraviglia metafisica. Se la meraviglia logica è causata dalla diversificazione dell’esperito (rispetto a come era rappresentato dalle nostre aspettative), la meraviglia metafisica è invece causata da una diversificazione dell’esperire. Dell’atto insomma. Il mondo è sempre lo stesso mondo, pur nelle sue variazioni. Non possiamo pensare un mondo non esistente, in definitiva non possiamo pensare il nulla. Può capitare talvolta di recuperare una visione virginale delle cose. Come quando l’onda del mare, al passare della notte, scopre la parte di sabbia nascosta. Così la nostra percezione è sempre dinamica, in modifica perpetua. Un aggiornamento inconscio, un basso continuo che varia il suo ritmo, incontrando soluzioni diverse (pur essendo variazioni di un identico che è il mondo che permane). Quando l’evoluzione della nostra visione - del nostro sguardo sulle cose - prende un’impennata improvvisa, oppure più semplicemente quando emergiamo dalla disattenzione e riconosciamo la diversificata attitudine a guardare: allora in quel momento nasce la meraviglia metafisica, che ha come oggetto lo stesso mondo non modificato, ma ha come soggetto un occhio che ha cambiato lente. Così anche il buon umore riesce benissimo a rientrare in questa casistica. Infine ho pensato che questa meraviglia possa avere la sua genesi in rapporto alla morte. E se la meraviglia per l’esistenza del mondo fosse una meraviglia generata nel contrasto vita-morte? Nel vedere la morte intorno, la vita che resiste e se ne fa contraddittorio acquista più definizione. In mezzo a cose che incontrano il silenzio e l’immobilità, il proprio corpo che continua a deambulare, a sentire, si sente in qualche modo sotto una specie di diversità. Nel personale la morte è certezza (non potrà non comparire), ma aspettata e “guardata” con incertezza. Osservata sull’esterno (nel vegetale e nell’animale) si appropria invece di una certezza che non è certezza solo del suo esserci, ma certezza anche del suo manifestarsi, qui ed ora. Vedere la morte riecheggia nel corpo vivo che agisce quello sguardo. Vivere la morte è piuttosto vivere il dolore e la consapevolezza appena precedenti, dunque non è viverla veramente. Eppure la fine è nota. La meraviglia, tornando al principio del nostro discorso, si fa avanti in questo crescere di esperienza. La vita, col trascorrere del tempo, si fa più definita, ma meno sicura – più per il numero di morti osservate fuori, non per un discorso di vecchiezza del corpo. Il suo continuare e farsi opposto delle morti viste (e, oserei dire, in qualche modo apparenti) desta la meraviglia per il fatto che lei contrasta quell’ombra, quel fenomeno così fantasmatico come è la morte, che mai è pienamente compresa (in senso intellettivo e pure materiale, nel senso di prendere in sé). In confronto a tanto sprofondare nell’invisibile (ciò che c’è, ma non si vede. Una cosa c’è, dopo un certo momento non c’è più, anche se in qualche modo se ne continua a sentire la traccia nella memoria: sia personale che collettiva) il visibile si fa pian piano piccolo e ridicolo. Ma quando la vista si riapre sul reale, sulla vita, allora ecco che si spalanca quella “finestra senza imposte” che è la meraviglia.