L' impero dei segni di Roland Barthes edito da Einaudi
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L' impero dei segni

Editore:

Einaudi

Edizione:
1
Traduttore:
Vallora M.
Data di Pubblicazione:
26 marzo 2002
EAN:

9788806162603

ISBN:

8806162608

Pagine:
140
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Descrizione L' impero dei segni

"Perché il Giappone? perché è il Paese della scrittura: fra tutti i Paesi conosciuti, è in Giappone che ho incontrato la pratica del segno più vicina alle mie convinzioni". Dice Barthes a proposito di quest'opera, al tempo stesso notazione di viaggio (ma agli antipodi delle cronache del letterato) e perlustrazione entro un intero sistema di vita. "Il luogo dei segni non è cercato negli aspetti istituzionali ma nella città, nel negozio, nel teatro, nella cortesia, nei giardini, nella violenza. Ci si occupa di alcuni gesti ricorda ancora l'autore - di alcuni cibi, di alcune poesie; ma soprattutto di volti, di occhi e di pennelli con cui si può scrivere, ma non dipingere, il tutto".

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4 di 5 su 2 recensioni

L'impero dei segniDi B. Salvo-10 agosto 2011

Io e la filosofia non andiamo molto d'accordo, tuttavia con Barthes faccio sempre un'eccezzone, perchè parla veramente delle cose più disparate notate durante il suo viaggio in Giappone del 1966; ovviamente racconta della scrittura e del gesto del pennello, così scenografico e perentorio rispetto al nostro (niente gomma per cancellare nel Giappone tradizionale, inconcepibile), racconta del pachinko e delle sue sale da gioco affollate da clienti che, gomito a gomito, conducono un gioco collettivo e solitario insieme. Parla degli spettacoli di Bunraku, marionette solo apparentemente simili a quelle europee, eppure fondamentalmente distanti anni luce nel gesto, nell'atto, nella funzione. Parla dei bastoncini e del loro rapporto col cibo, un rapporto di grazia e gentilezza, non quello cruento e crudele di forchetta e coltello, che smembrano e disfano senza pietà. Parla della cortesia, formalismo estremo e vuoto in occidente, spontaneità quasi religiosa in oriente. E soprattutto parla - ed è la cosa che più mi ha colpito - a lungo e con grande attenzione, dell'haiku, la forma poetica giapponese tipica, analizzata con acutezza e profondità. L'effrazione del senso, l'assenza di simbolo e metafora, la descrizionenon descrizione determinano la sua grande accessibilità, non solo per la brevità del componimento, ma soprattutto per la brevità dell'evento, un istante non trattenibile, fragile essenza come una delle tradizionali scene dipinte della pittura del Sol Levante. Semplice e pura enunciazione, ricciolo grazioso che s'arrotola su se stesso, come dice Barthes, l'haiku finisce esattamente dove comincia: niente senso nascosto, niente ridondanza, nessuno svelamento di verità, ma la pura e semplice poeticità insignificante e sfuggente del momento irripetibile e soggettivo, un soggettivo collettivo perché senza un io specifico eppure unione di tutti gli io rifratti e ripetuti dei lettori.

Il Giappone come paese della scrittura...Di S. FEDERICA-16 ottobre 2010

Barthes nel 1970 scriveva questo testo, unendo scrittura ed immagini... "l'Oriente non sono altri simboli, un'altra metafisica, un'altra saggezza [...] piuttosto si tratta della possibilità di una differenza, di un mutamento, di una rivoluzione nella proprietà dei sistemi simbolici." Testo davvero interessante.