La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura di Julian Barbour edito da Einaudi

La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura

Editore:

Einaudi

Data di Pubblicazione:
8 giugno 2015
EAN:

9788806227852

ISBN:

8806227858

Argomento:
ASTRONOMIA, SPAZIO E TEMPO
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Descrizione La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura

Un saggio che arriva al cuore della fisica moderna, che solleva dubbi sul maggiore contributo di Einstein (il continuo dello spaziotempo) ma che propone anche una soluzione a uno dei più grandi paradossi della scienza contemporanea: la distanza tra la fisica classica e la fisica quantistica. Barbour sostiene che l'unificazione della relatività generale di Einstein con la meccanica quantistica può determinare la fine del tempo. Il tempo non avrà più un ruolo centrale nei fondamenti della fisica. In questo testo rivoluzionario si aprono squarci affascinanti sui misteri dell'universo: i mondi multipli, i viaggi nel tempo, l'immortalità e, soprattutto, l'illusione del moto. Prima edizione nei "Saggi", 2003.

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3 di 5 su 2 recensioni

Cos'è il tempo?Di S. LUIGI-28 aprile 2012

Questo saggio è un po' troppo tecnico e farraginoso- e secondo me tutt'altro che completo, tra l'altro -per illustrare perfettamente, e alla portata del lettore comune, l'ambiziosa teoria che desidererebbe dimostrare. La tesi di fondo, però, secondo me è condivisibile: il tempo di per sé è una unità di misura vuota, non calcola altro che il movimento e l'aumento dell'entropia.

La fine del tempoDi b. paola-21 febbraio 2011

L'ho finito da due giorni e benché ancora a freddo provo a fare un breve commento. Ora difficilmente mi è capitato di avere sentimenti tanto contrastanti leggendo un libro. L'idea di fondo è, devo riconoscerlo, intellettualmente stimolante, le critiche al concetto di tempo sono interessanti, qualche risultato riportato qua e là, come il fatto che nel caso di un sistema a 3 corpi le curve nello spazio delle configurazioni coincidono con quelle create dalla fisica classica, onestamente intriganti. Tuttavia vedere in un sol colpo, in un testo di fisica, giustificato sia il creazionismo (il mondo non si evolve, è!) che l'esistenzialismo (la sensazione dello scorrere del tempo ce lo dà il nostro cervello o giù di lì) mi fa sentire, come dicono gli americani unconfortable. D'altro canto la struttura del libro non aiuta. Dopo una prima parte speculativo-filosofica dove si resuscitano Parmenide e il paradosso di Zenone, il grosso del libro si divide nel tentativo di dare una lettura atemporale della relatività tramite l'equazione di Wheeler-DeWitt e della meccanica quantistica, sfruttando l'equazione stazionaria di Schroedinger. Il tutto rigorosamente senza neanche una formula! Comunque l'apoteosi si tocca al capitolo finale quando Barbour candidamente confessa che non ha uno straccio di equazione per basarci su la sua teoria, ma solo considerazioni qualitative e sue sensazioni! Ma anche sulle considerazioni qualitative avrei parecchio da ridire. In effetti il modello di Barbour, di una hamiltoniana nello spazio delle configurazioni va a scontrarsi con due fatti: il primo è che ci si trova comunque in un universo quantistico, e quindi la transazione da uno stato all'altro è solo probabile, il secondo è la memoria. Noi tutti infatti abbiamo una memoria di quello che ci è successo nel passato, non solo: leggiamo libri, vediamo film. Insomma abbiamo registrazioni. Barbour qui prima contesta il concetto di passato affermando che in realtà le registrazioni esistono nel presente, un concetto ripreso da John Stewart Bell, e poi affermando che gli stati con capsule temporali sono estremamente probabili, mentre quelli senza capsule temporali sono altamente improbabili. Ora a me questa posizione appare una capziosa tautologia, se non altro perché è indimostrabile, come non è a mio parre falsificabile la teoria di Barbour, se pure arrivasse a produrre una qualche formula o previsione. Un'altra critica che mi sento di fare è sul collasso della funzione d'onda che descrive l'universo. Ora, a meno che non si adotti la teoria del multiverso di Everett, per collassare la funzione d'onda ha bisogno di qualcuno o di qualcosa che l'osservi. Chi è questo qualcuno? Siamo noi che "osserviamo" e quindi facciamo collassare la funzione d'onda che descrive l'universo. E questo collasso avviene localmente o no? E come lo condividiamo, se lo condividiamo con gli altri? Com'è che riusciamo a vedere la stessa partita di pallone? Insomma l'esistenzialismo (l'universo esiste perché io lo osservo) rifà capolino. Forse è più ragionevole pensare a un'entità, un Dio che osserva l'universo dall'esterno (qualunque cosa significhi) e costringa la funzione d'onda a collassare. Attenzione un Dio che osserva e in un certo senso crea, ma non interviene, una sorta di Dio passivo insomma. Entrambe le opzioni mi paiono però altamente problematica, già solo sul piano filosofico. Alla fin fine Il tutto onestamente mi pare una speculazione filosofica solipsistica, magari condotta con metodo, ma che al momento per aderirvi richiede fondamentalmente un atto di fede.