Arte e progresso. Storia e influenza di un'idea. Ediz. illustrata di Ernst H. Gombrich edito da Laterza
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Arte e progresso. Storia e influenza di un'idea. Ediz. illustrata

Editore:

Laterza

Edizione:
4
Traduttore:
Carpitella M.
Data di Pubblicazione:
17 maggio 2002
EAN:

9788842066378

ISBN:

8842066370

Formato:
brossura
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Descrizione Arte e progresso. Storia e influenza di un'idea. Ediz. illustrata

"Nell'odierna storiografia artistica si tende a sorvolare sull'idea di progresso. È un'idea che abbiamo superato, insieme a quella di decadenza. Qualunque universitario al primo anno sa già che Michelangelo non vale più di Giotto, bensì è soltanto diverso. Io sono della stessa opinione, ma mi sembra valga la pena isolare le diverse concezioni dell'idea di progresso che hanno prodotto una certa confusione nel linguaggio." (E. H. Gombrich)

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Progresso, evoluzione, arteDi c. mario-9 dicembre 2010

Questo libro di Ernst Gombrich nasce da due conferenze del 1971 in cui il grande storico dell'arte si occupa dell'idea di progresso applicata alla storia dell'arte. L'autore si concentra soprattutto sui modi in cui questa idea è stata trattata e sostenuta dalla critica d'arte: vengono così isolati i casi di J. J. Winckelmann e Emile Zola, in quanto autorevoli esponenti del modo di pensare l'arte in termini progressisti in due epoche tra loro molto diverse. Il primo capitolo, rielaborazione della prima conferenza, prende in esame il passaggio dal classicismo al primitivismo. L'apertura è affidata al parallelo scrittori classici-Vasari: Gombrich dimostra che il sistema evolutivo vasariano si rifà consapevolmente al modello progressista già adottato dagli autori classici (di cui Duride di Samo è il capostipite) ,e che nel proporre l'idea di un evoluzione progressiva verso una meta determinata (la classicità) Vasari anticipa alcuni aspetti del programma di Winckelmann- stessa ipotesi sostenuta da Hans Belting, che si spinge più in là, vedendo in Vasari colui che influenzerà in maniera decisiva il modo in cui, fino alle soglie del novecento, la critica d'arte tutta interpreterà la storia dell'arte. Di Winckelmann, Gombrich offre una efficace ricognizione dei suoi lavori e della sua poetica: il ritorno all'antichità classica e il parallelo con l'arte rinascimentale italiana; la condanna del barocco e in particolar modo di Bernini; il fatto che Winckelmann, in assenza di opere decisive scoperte ben dopo la sua morte, nel periodizzare l'arte greca si sia dovuto basare su testimonianze letterarie dell'epoca. Ma la cosa più importante è un'altra. Gombrich riesce a dimostrare che il padre fondatore del classicismo è stato, in maniera sicuramente non voluta e nemmeno immaginata, colui che ha dato l'input all'avvio di quelle correnti romantiche che fonderanno le proprie poetiche sull'idea, a dire il vero abbastanza variegata e multiforme, di primitivismo: tra gli altri, i Nazareni di Franz Pforr. Quindi, senza rendersene conto, il suo ideale di purezza e moralità portò Winckelmann a rivalutare i fenomeni artistici pre-classici (l'arte greca arcaica del sesto secolo, per esempio) e a porsi come iniziatore involontario di quelle correnti anti classiche che poi sfoceranno nel romanticismo. Il secondo capitolo si configura come una critica all'ideologia del nuovo tipica del modernismo (e sembra quasi che Gombrich anticipi, da un certo punto di vista, la Rosalind Krauss de "L'originalità dell'avanguardia") . Il percorso critico di Zola diventa protagonista del capitolo perché in lui si manifesta in un primo momento e nella maniera più piena il critico militante, colui che per amore del nuovo sostiene qualunque novità e sospende il giudizio ("sospensione del giudizio" proposta, decenni dopo, da Maurizio Calvesi a proposito della Pop Art, seppur in termini diversi) :è l'epoca gloriosa di Manet e degli impressionisti, in cui Zola affida al critico esclusivamente il compito di registrare i fatti. Il secondo tempo di Zola -quello della negazione della grandezza di Cèzanne- è quello in cui l'ideologia progressista del nuovo ad ogni costo viene rifiutata- e sicuramente la delusione che Zola provava nei confronti dei vecchi amici impressionisti ebbe una parte importante in questo ravvedimento. Zola sembra quindi minato dagli stessi dubbi che, intorno agli venti del novecento, interesseranno il viennese Hans Tietze, maestro di Gombrich e sostenitore dell'Espressionismo: può essere l'ansia progressista l'unica giustificazione del lavoro artistico? Può la novità, esente da ogni giudizio di valore, essere il fine ultimo dell'arte? Gombrich ci offre la sua risposta: "Ci siamo finalmente resi conto di non essere le marionette passive di una evoluzione inarrestabile e che non è affatto necessario fare qualcosa solo perché esiste la possibilità. Là dove queste possibilità entrano in conflitto coi nostri valori, dobbiamo anche essere in grado di dire "no" con tutta tranquillità L'avventato culto di ogni novità non potrà mai sostituirsi ai valori umani sui quali l'arte deve fondarsi". Con queste frasi che chiudono il volume, Gombrich ci offre, a mio parere, una grande lezione morale.