Aria sottile di Jon Krakauer edito da TEA

Aria sottile

Editore:

TEA

Collana:
TEA
Traduttore:
Perria L.
Data di Pubblicazione:
11 ottobre 2007
EAN:

9788850214600

ISBN:

885021460X

Pagine:
346
Formato:
brossura
Argomenti:
Alpinismo, arrampicate e scalate, Autobiografie generali
Acquistabile con la

Descrizione Aria sottile

Il 10 maggio 1996 una tempesta colse di sorpresa quattro spedizioni alpinistiche che si trovavano sulla cima dell'Everest. Morirono 9 alpinisti, incluse due delle migliori guide. Con questo libro, l'autore, che è uno dei fortunati che riuscirono a ridiscendere "la Montagna", scrive non solo la cronaca di quella tragedia ma intende anche fornire importanti informazioni sulla storia e sulla tecnica delle ascensioni all'Everest. Offre inoltre un esame provocatorio delle motivazioni che stanno dietro alle ascensioni ad alta quota, nonché una drammatica testimonianza del perché quella tragedia si poteva evitare.

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5 di 5 su 3 recensioni

L'altra faccia delle impreseDi r. doriana-15 febbraio 2012

Ci sono state molte polemiche intorno a Karakauer e a questo libro, e d'altronde era inevitabile. Andare a documentare con una testimonianza diretta una delle disfatte più grandi dell'alpinismo commerciale, non poteva che far parlare. Questo libro avvincente spoglia di quell'aura da super eroi (pur mantenendo un rigoroso rispetto per i fatti e quindi per le vittime) coloro che aspirano a raggiungere la vetta più alta del mondo. Racconta dei limiti, delle debolezze e della superficialità fatale davanti alla grandezza della natura. Lo consiglio soprattutto a chi ama la montagna e la sua severità, ma anche a chiunque voglia un punto di vista nuovo sulle grandi imprese commerciali.

Da leggereDi B. Anna-16 settembre 2010

Doveva essere un reportage su di una spedizione commerciale per la vetta dell'Everest, ma in seguito all'esito tragico della spedizione Krakauer decide di farne un libro. In una sola parola: Commovente. Si resta davvero senza parole davanti all'esperienza di questi uomini, tenaci e decisi.

Cronaca di una tragedia del nostro tempoDi P. Simona-18 agosto 2010

Il testo, scritto per stessa ammissione dell’autore seguendo lo slancio passionale dettatogli dai sentimenti provati durante e dopo la scalata al monte Everest, ha l’innata capacità i catapultare il lettore direttamente sulla montagna più alta del mondo facendogli sentire lo scricchiolio sinistro delle proprie ossa durante i numerosi principi di congelamento descritti e l’emicrania perforante dovuta alla rarefazione dell’aria. Superata, infatti, l’efficace introduzione in cui Krakauer spiega razionalmente le ragioni della nascita di tale libro e l’elenco dei componenti delle spedizioni presenti sul monte Everest nella primavera del 1996, si viene subito catapultati agli 8.848 metri sul livello del mare della vetta del Sagarmata, nome nepalese dell’Everest. Si entra così brutalmente in contatto con i problemi che l’autore stesso e la sua squadra si trovano ad affrontare subito dopo la non-celebrata ascesa: l’ossigeno in esaurimento, lo sfinimento fisico, l’eccessivo concentramento di persone presso l’Hillary Step e, soprattutto il peggioramento delle condizioni atmosferiche. La fine del primo capitolo è costituita dall’input per una non meglio descritta ma imminente tragedia, che genera un senso di inquietudine che accompagna il lettore per molte pagine successive, ancora quando Krakauer riporta un sunto storico delle scalate e degli studi sull’Everest: a partire dal 1852, anno in cui per la prima volta ne viene misurata l’effettiva altezza, fino al febbraio 1996, quando la rivista per cui lui stesso scriveva gli comunica la sua imminente partenza verso il tetto del mondo. Il prosieguo del libro porta il lettore attraverso il viaggio senza fine verso la vetta: lo spostamento in aereo verso Kathmadu, il cammino sull’altipiano per raggiungere Lobuje, l’arrivo ai 5.350 m del campo base, le difficoltà di acclimatamento, le escursioni di allenamento attraverso la tanto temuta seraccata del ghiacciaio Khumbu e poi i lenti e sempre più faticosi avvicinamenti ai campi intermedi, fino alla partenza dal campo 4, il 10 maggio 1996. Sicuramente quello più coinvolgente e spiazzante è il capitolo in cui viene descritta l’ascesa alla sommità dell’Everest: tra difficoltà tecniche e fisiche, l’autore descrive egregiamente sia la componente “sportivo-alpinistica” della salita, sia i momenti di contemplazione del panorama montano, sia le difficoltà fisiche che lo frustano a tal punto da affermare che dopo aver fantasticato per mesi sulle emozioni che avrebbe provato una volta trovatosi sul tetto del mondo “ora che finalmente ero lì, in piedi sulla cima del Monte Everest, non riuscivo semplicemente a radunare le energie sufficienti per concentrarmi”. Segue questo momento di stasi e intorpidimento una discesa altrettanto infinita costellata di difficoltà ed imprevisti che trasmette angoscia ed insicurezza a chi legge indipendentemente dal fatto che abbia o meno mai scalato una montagna; un susseguirsi di ostacoli aggravati dalla non lucidità mentale dei protagonisti causata dall’esaurimento delle bombole di ossigeno determinerà la preannunciata e tristemente celebre tragedia. Il libro rappresenta una accurata cronaca di avvenimenti sapientemente condita da passi introspettivi dell’autore e da approfondimenti di vario genere (come ad esempio il dibattito sull’uso dell’ossigeno per le scalate ad alta quota, il flash storico sul mistero della spedizione di Mallory ed Irvine del 1924, i rischi medici di edemi polmonari e celebrali a quote oltre i 4000 m, etc.) che interesseranno non soltanto chi già conosce la montagna e la pratica alpinistica. Si tratta sicuramente di una trattazione riguardante il lato più estremo dell’alpinismo, ma questa grande tragedia e il suo efficace racconto possono, e devono, spingere a riflettere su un tema ancora tristemente attuale: la pratica dell’alpinismo, dell’arrampicata o delle escursioni in genere è uno sport che comporta rischi sugli ottomila metri dell’Everest così come sui 4000 del Monte Bianco o sui 2000 delle numerose cime alpine: la conoscenza dei luoghi in cui ci si avventura, la fiducia riposta nei propri compagni di avventura o di cordata, l’attenzione alle condizioni atmosferiche e, soprattutto, il riconoscimento delle proprie capacità e dei propri limiti fisici e psicologici sono condizioni essenziali sine qua non è impossibile frequentare l’ambiente montano in piena sicurezza.