Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità di Giuseppe Burgio edito da Mimesis

Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità

Editore:

Mimesis

Data di Pubblicazione:
7 novembre 2012
EAN:

9788857512600

ISBN:

8857512606

Pagine:
250
Formato:
brossura
Argomenti:
Gruppi sociali in base all'età: adolescenti, Bullismo e strategie di contrasto al bullismo
Acquistabile con la

Descrizione Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità

La letteratura scientifica sul bullismo, sia quella italiana sia quella straniera, si limita a una trattazione generale del fenomeno, senza analizzare le variabili rappresentate dalle caratteristiche delle vittime. Questo libro si concentra invece sulla costruzione sociale e relazionale del bullismo omofobico al fine di individuare possibili spiegazioni di come esso nasca e perché. L'autore studia i legami tra genere maschile, orientamento sessuale e violenza in adolescenza, sulla base dell'ipotesi - assolutamente innovativa che il bullismo omofobico possa costituire in adolescenza una tappa della costruzione della maschilità e che alcuni ragazzi ricavino un "vantaggio" dall'esercitato. Il bullismo omofobico emerge quindi come un modo per produrre (e sottolineare) la differenza tra eterosessuali e omosessuali in quel periodo nodale nella costruzione dell'identità sessuale che è l'adolescenza. La violenza si mostra allora come performance utilizzata per affrontare i compiti di sviluppo connessi all'identità maschile, come manifestazione di genere, come uno dei modi per costruire e mettere in scena la virilità.

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Il Bullismo omofobicoDi M. Valentina-3 novembre 2015

“Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità”, edito da Mimesis nel 2012 a Milano e Udine, racchiude in 250 pagine una trattazione generale del fenomeno del bullismo omofobico, analizzando le variabili rappresentate dalle caratteristiche delle vittime. Questo testo nasce da un’indagine di tipo qualitativo riguardante adolescenti omosessuali, tenuta lungo il corso di 5 anni ed argomentata attraverso ricerche di tipo sperimentale, incentrata sulle storie di vita di adolescenti. La storia più accurata nel testo è quella di Davide, che apre il primo dei cinque capitoli di cui è composto il libro. A tal proposito il primo capitolo, a mio parere molto interessante, è dedicato a fornire una definizione di bullismo omofobico partendo dalle parole degli stessi adolescenti, nel tentativo di comprendere la vittimizzazione e le sue implicazioni. Sulla base di questo viene appunto presentata la storia di Davide, un ragazzo diciottenne, la cui intervista semi-strutturata viene integralmente riportata. L’obiettivo di questa ricerca è mostrare che il bullismo non risulta essere comprensibile se non all’interno del percorso esistenziale specifico dei ragazzi coinvolti. L’indagine viene affrontata dal punto di vista etnopedagogico, dato dall’incrocio tra etnografia e autobiografia, utilizzando un metodo costruttivista e costruzionista. Il racconto di Davide risulta essere molto complesso: si definisce omosessuale da sempre, ma afferma di vivere due vite poiché gli piacciono anche le ragazze; sottolinea che la sua omosessualità non si nota. Racconta che dopo che i suoi genitori hanno scoperto la sua omosessualità, a lui serve portare a casa una ragazza in modo da tranquillizzarli. In realtà è fidanzato con un ragazzo che vive a Roma: Davide dice di volersi trasferire in città per non doversi nascondere. “Se una persona si presenta come vittima è vittima”. È così che Davide racconta e “giustifica” il comportamento di alcuni suoi compagni nei confronti di un ragazzo gay, vittima di bullismo. Nel secondo capitolo partendo dal racconto di Davide viene descritta la configurazione dell’esperienza omosessuale, con le sue tappe essenziali e simboliche. La cosa più insopportabile, alla fine, per gli omosessuali risulta essere il fatto di sentirsi invisibili. È dunque spiegabile il fatto che la società li porti alla “rappresentazione”, spingendoli ad assumere essi stessi una visibilità che sarebbe, altrimenti, impossibile. L’omosessualità è un tema che gli omosessuali hanno bisogno di raccontare collettivamente: essere visibili significa essere riconosciuti e quindi essere. Durante l’adolescenza infatti, la scuola è il teatro delle ingiurie, delle prese in giro e delle offese che ledono l’autostima. Questi comportamenti offrono un terreno fertile per la nascita del bullismo omofobico. Ma allora: “A cosa serve il bullismo omofobico? A chi giova?” secondo l’autore potrebbe esserci un nesso tra l’oppressione delle donne e l’esclusione degli omosessuali, il tutto a vantaggio degli eterosessuali: affinché l’identità maschile sia valutata positivamente è necessario che quella femminile sia rappresentata in maniera negativa. Il quarto capitolo delinea una filogenesi della maschilità ed una genealogia storica della costituzione della virilità. Viene analizzata l’ontogenesi individuale della maschilità ed infine dell’aggressività adolescenziale. L’ultimo capitolo si occupa di precisare dal punto di vista pedagogico le idee guida di una proposta educativa che riguarda tre ambiti: la relazione tra maschi sia omosessuali che eterosessuali, la pluralizzazione dei modelli di maschilità e l’accompagnare l’adolescente maschio nel complesso compito di identificazione di genere. Questo testo affronta un tema molto importante da non sottovalutare: quello dell’omosessualità e della violenza, attraverso un occhio pedagogico e non psicologico come spesso accade. Credo sia in questo la novità. È un libro a mio parere molto interessante e molto utile anche e soprattutto per chi lavora nei contesti educativi: queste persone sono infatti le prime a dover aiutare i ragazzi nella formazione della propria identità, nonché evitare che vengano derisi o che diventino vittime del bullismo omofobico. Da questo testo si può certamente apprendere che l’omosessualità è ancora un tabù da dover abbandonare ed è necessario dover accettare una sessualità diversa dalla propria, anziché giudicarla anormale, proprio in una società in cui si accetta come normalità la violenza.